Ieri ho visto Victoria al cinema, dopo averlo “perso” alla Berlinale di quest’anno.
Film a metà fra il generazionale, fra immigrati sudeuropei a Berlino e le gang di True Berliners (vedi anche Als wir träumten, sempre dalla selezione ufficiale della Berlinale 2015), e il noir, con tanto di rapina alla banca. Il film è proprio spaccato a metà fra questi due eventi/mood, ma ho un sacco di considerazioni da fare (che non c’entrano troppo con la trama).
Prima di tutto: 2h20 girate in un unico (vero) piano sequenza, tutto di notte, in non so quante location (si parte da una disco, ci si torna, si finisce in un hotel, passando per tetti di condomini, bar, rapine in banca, garage sotterranei, taxi e quant’altro) e attori coinvolti, finale adrenalinico compreso (prendi questo Bridman!). 2h20 che passano velocissime, in effetti, specie da quando il film prende una certa piega.
Poi:
- Bravi tutti gli attori protagonisti, ma soprattutto Victoria (Laia Costa), immigrata spagnola che lavora per 2 lire (anzi, 4€/h) in un bar del Mitte, e Sonne (Frederik Lau, lo schizzato in Die Welle), il (quasi) bravo ragazzo della gang di amici.
- Bella la scena della prova della rapina, io l’ho letta anche un po’ meta-meta (che siamo sempre nel 2015) per le prove che sicuramente avranno dovuto fare di questo mastodontico piano sequenza (premiato a Berlino con l’orso d’argento).
- Bella la colonna sonora di Nils Frahm (grazie al..).
- Il regista (Sebastian Schipper) ha lavorato (come attore, era il ragazzo in bicicletta) in Lola Rennt, e secondo me si vede.
- La/e considerazione/i più personale:
Quello che mi ha colpito di più alla fine non è tanto (solo) il piano sequenza, quanto il fatto che la maggior parte del film sia recitato in inglese, da attori non madrelingua (per niente madrelingua) inglesi (diegeticamente parlando: lei non sa il tedesco). Questo, sommato alla spontaneità/improvvisazione dovuta agli ovvi motivi tecnici, fa sì che il realismo della messa in scena (soprattutto nella prima parte) sia estremo. Ed è un attimo (per me, immigrato in Germania) rivedermi nelle frasi spezzate, le incomprensioni, gli accenni, le battute spontanee/venute male. Questo incide anche sulla recitazione, quando ad esempio la nostra Victoria si trova costretta a dire frasi in una lingua non sua anche in momenti (estremamente) drammatici, e diventa tutto molto goffo e reale. Concreto. Non me ne frega niente del realismo al cinema in generale, ma qui avviene in maniera talmente spontanea, che mi ha lasciato straniato e coinvolto al tempo stesso.
Aggiungo un’altra cosa da immigrato (maledetto), non so quanto voluta ma per me riuscitissima: Victoria è a Berlino da 3 mesi, non sa il tedesco, non ha amici. Non è una brutta ragazza (normale, carina, ventiqualcosa), ma non riesce neanche ad approcciare i gelidi baristi crucchi. Quando questi True Berliners (ci tengono a ribadirlo) senza nome, la coinvolgono, la fanno divertire (finalmente ganz spontan!), lei non esita a mettersi in mano loro, a raccontare la propria vita al tipo di turno (che sta provando a broccolarla, ma anche lei non aspetta altro), e poi non esita neanche troppo a farsi coinvolgere in qualcosa di (molto) oltre a rubare due birre nello Spätkauf di turno. E lo ribadisce più volte: lo farò lo farò, farà di tutto per i suoi amici, anche se li ha conosciuti solo (letteralmente) un’ora prima. (non un’ammucchiata)
Unica pecca che rovina tutto il realismo già citato: non esiste una spagnola al mondo che sappia cosí bene l’inglese.
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