Verso la foce

Per scrivere devo sempre calmarmi, sedermi o appoggiarmi da qualche parte, e non fare resistenza al tempo che passa.


Verso la foce è il bellissimo titolo di una raccolta di racconti “di osservazione” di Gianni Celati, che nei primi anni ’80 percorre il Po, in quattro tentativi, verso la foce del fiume, appunto. Sono racconti di osservazione (definizione dell’autore), asciutti, precisi, fotografici, le osservazioni personali o intellettuali e le divagazioni letterarie sono ridotte al minimo (a differenza del Danubio di Magris, sempre di quegli anni). Ciò che mi ha colpito e che emerge inevitabilmente dalle descrizioni degli incontri, dalle continue giustificazioni, è l’estraneità della figura dello scrittore, nel senso di colui che scrive ancora prima che della professione. Celati è costretto a spacciarsi per giornalista e inventarsi motivazioni inesistenti per placare gli sguardi sospettosi. Da quando scrivere è diventata un’attività anomala, abnorme, degna di sospetto e diffidenza? Da prima di quanto immaginassi a quanto pare. Non c’entra (solo) la tecnologia, non c’entra (solo) la modernità. Scrivere è strano in qualche modo, e ciò che è strano va contestualizzato o ripudiato.
Eppure, come dice un altro scrittore di viaggi:

Fa un certo effetto pensare a tutti questi esseri umani che vivono tutta una vita senza sentire il bisogno di esprimere un minimo commento, una minima obiezione, un minimo appunto. Non che tali commenti, obiezioni, appunti possano avere un destinatario, e nemmeno un senso; ma a mio avviso, in fin dei conti, è comunque preferibile esprimerli.

[Michel Houellebecq, Piattaforma, 2001]