Visto che ultimamente i miei viaggi non riescono a essere più di una toccata e fuga, continua la rubrica tre giorni da…
Questa volta sono andato a Berlino espressamente per il Festival del Cinema, un evento da sempre ammirato come una cosa lontana e finalmente vissuto (un pochino) in prima persona. Ho sfruttato l’occasione di trovarmi a vivere più vicino del solito a Berlino e la relativa economicità della mini-trasferta: andata e ritorno per 34 euro con un bus più comodo di qualsiasi volo Ryanair, pernottamento al risparmio in uno splendido AirB&B migliore di tanti ostelli, biglietti presi all’ultimo momento correndo da un cinema all’altro. Per il resto niente tappeto rosso, presentazioni, conferenze stampe, premiazioni, vips, ma soprattutto niente accrediti. Dopotutto non sono certo un blogger nel senso comune del termine, né un addetto ai lavori (purtroppo). Bene così, che tanto quel che mi interessava erano i film (disse la volpe all’uva).
Siamo già stati[[1. io e la Fede]] a Berlino in passato così che non abbiamo avuto l’esigenza di fare i turisti questa volta e ci siamo concentrati davvero solo sui film, imparando anche un sacco di cose sui festival del cinema. Le mie uniche esperienze erano con il BFI London Film Festival e il Sitges Film Festival, minori e non certo paragonabili con la Berlinale. Seguono resoconto dettagliato della tre giorni e informazioni utili per non rifare i nostri stessi errori.
Il viaggio in bus è durato 6 ore (con tappa di mezz’ora a Hannover), un po’ lungo ma comodo. Il bagaglio era composto da due borse grandi con cerniera, altrettanto comode, specie per un periodo così breve. Certo, la figura era un po’ da pezzenti, ma a noi che ci frega? Non eravamo neanche accreditati.
Il primo giorno, arrivando a pomeriggio inoltrato ed essendo domenica, ma soprattutto aspettando che la padrona di casa tornasse per poterci aprire, siamo andati al Mauerpark per fare un giro al caratteristico mercatino e soprattutto incontrare gli artisti di strada più disparati. Non potevano mancare quelli della pizzica pugliese neanche qui ovviamente, ma si è raggiunta l’apoteosi con il manovratore (e nella mia testa voglio pensare anche costruttore) di un robot cyber-punk pieno di pistoni e leve, con tanto di telecomando e un aspetto così perfettamente retro-futuristico da sembrare uscito direttamente da una copertina Urania.
Scappati da quel covo di hipster che è il mercatino di Mauerpark (e passati da casa a sistemarci), ci siamo diretti finalmente a Potsdamer Platz per vederci il primo film della (nostra) tre giorni, finendo per perderci in un concentrato irriconoscibile di luci, striscioni e hipster (questa volta con l’accredito al collo) che ci ha lasciati anche un po’ spaesati. Abbiamo vagato un po’ per la piazza, arrivando fino al red carpet di fronte al Berlinale Palast, dove pensavamo candidamente di poter arrivare all’ultimo e procurarci dei biglietti così, manco fossimo George Clooney (che non abbiamo visto, nonostante sia arrivato a Berlino praticamente assieme a noi, ma ce ne faremo una ragione).
Poco male, perché nei dintorni di Potsdamer Platz i cinema non mancano e non è difficile trovare i biglietti per un altro spettacolo, spulciando fra i tanti disponibili. Essendoci però ridotti un po’ all’ultimo, abbiamo avuto poche possibilità di scelta, optando infine per Shemtkhveviti paemnebi (Blind Dates), commedia georgiana di cui non sapevamo nulla. La pellicola si è rivelata amara e intelligente e la discussione finale con il regista in sala è stata interessante[[2. dei film parlerò più approfonditamente poi]]. Soldi ben spesi, anche per chi si è bellamente dormito i tre quarti del film, ma i cinema si sa fanno questo effetto quando si è stanchi.
La mattina seguente, decisi a non metterci la sveglia, ci siamo mossi un po’ tardi, ma siamo riusciti a procurarci i biglietti per Blind, film di Eskil Vogt che avevamo puntato un po’ e che è stato suggestivo vedere all’Hebbel am Ufer, ancora una volta col regista in sala. Per ottenere questi biglietti è bastato mettersi in coda un’ora prima della proiezione, aspettando gli ingressi che ogni cinema (a quanto ho capito) si riserva di vendere nell’ultima ora o mezz’ora prima dello spettacolo. Al termine della visione Vogt è stato prodigo di informazioni e dettagli sul suo film, accolto molto bene un po’ ovunque e ovviamente anche dalla sala che non finiva più di applaudire.
Nel pomeriggio siamo andati alla ricerca dei biglietti per Nymphomaniac di Lars Von Trier. Essendo troppo in anticipo, abbiamo pensato bene di andare a mangiare un ramen al nostro ristorante preferito di Berlino. Peccato che al ritorno, un’ora e mezza prima della proiezione, la fila per gli ingressi arrivava ben fuori dal cinema e le possibilità di accaparrarsi due di quei 20-50 biglietti disponibili era pressoché nulla. Altra lezione imparata: per i film-evento o per i registi più famosi non è impossibile la visione senza prenotare, ma bisogna mettersi in fila ore e ore prima della proiezione. C’era gente che si era portata la sedia e probabilmente aspettava in fila fin da quando noi ce n’eravamo andati a cena.
Facendo tesoro dell’esperienza e rassegnandoci alla visione ridotta (e censurata) che circolerà del film, siamo tornati a Potsdamer Platz, isola del tesoro di noi sprovveduti pronti a qualunque cosa. Potsdamer Platz ci ha dato anche la netta (e concreta) sensazione di essere gli unici senza accredito presenti a Berlino, altro che sprovveduti (gli altri, tutti con i loro cappotti aperti e i cartellini in bella vista, maledetti). Comunque ci siamo diretti al Cinestar IMAX per Na kathese ke na kitas (Standing Aside, Watching), un film greco (avremmo potuto completare la trilogia dei titoli “ciechi” con Blind Massage, tra l’altro in concorso, orientandoci esclusivamente in base al titolo come fatto anche a Londra, ma abbiamo preferito rimanere sui film europei che ci piacciono tanto). È stata la prima volta per me in un cinema IMAX (tra l’altro quello del Cinestar di Potsdamer Platz è il più grande di Berlino) così che l’esperienza è stata interessante a prescindere dal film, comunque interessante e degnissimo di spunti e riflessioni. Peccato che il seguente Q&A (anche qui c’era il regista in sala, accompagnato dall’attrice principale) sia stato disastroso stavolta, non saprei dire se per l’atteggiamento del regista o per le difficoltà linguistiche. Vabbè, è andata così, sul tragicomico.
L’ultima mattina, dopo un nostalgico salto ad Alexanderplatz, abbiamo avuto l’occasione di vedere il documentario/esposizione tedesco Fictions and Futures #1 – Happiness in the Abstract, che spiega piuttosto bene e crudemente alcune situazioni che ci sembrano molto lontane ma ci toccano da vicino, prima di tornare al bus e quindi a Münster.
Mi è dispiaciuto non avere più tempo, per altri film, per vederne qualcuno in concorso, per i corti, per vedere altri cinema e semplicemente per passare altro tempo a Berlino, specie in questi giorni dall’atmosfera così stimolante. Una cosa però mi ha lasciato perplesso del festival, e non sono state le proiezioni, i Q&A, i tappeti rossi, le luci, gli hipster, i turisti, la cabina sopraelevata dell’Oreal, l’Audi-Berlinale-lounge, il numero spropositato di accreditati, le tv, le interviste, i poster ovunque, i cinema o i teatri. Ma la risate del pubblico cinematografico berlinese. Sia in Blind Dates che in Blind sono presenti momenti di commedia, chiaramente voluti come tempi comici, ma dalla risata amara, che hanno provocato in me un sorriso storto o più raramente una risata contenuta. Nel resto del pubblico invece si sentivano risate assurde, sbaccarate che neanche ai cinepanettoni, ululati da tenersi la pancia. Il tutto mentre gli esseri umani sullo schermo non riescono a mettere le mani sulla propria vita, subiscono l’ineluttabilità delle cose senza reagire, falliscono persino nel tradire la propria moglie. Boh. Grasse risate per tutti.
ho mai accennato alla mia passione per i flyers e libercoli gratuiti?
P.s.: piccola precisazione per i non addetti ai lavori, che mi è stata fatta questa domanda. Gli accrediti sono quei badge previsti per ogni fiera o festival, da Lucca a Berlino, per giornalisti, artisti, addetti ai lavori e quant’altro. Sono solitamente portati al collo o comunque ben in mostra, in modo da suscitare l’invidia altrui, e concedono varie facilitazioni dallo sconticino per i biglietti all’onnipotenza, a seconda dell’importanza della persona e del badge.
[…] il toccata e fuga dell’anno scorso, quest’anno ho deciso di dedicare cinque giorni alla Berlinale e di organizzarmi meglio. Ho […]