Oggi, mentre si vengono a sapere i premi di Berlino 2014 e scopro di avere avuto l’occasione (ma non averla colta) di vedere diversi film premiati (come Aimer, Boire et Chanter o Tui Na (Blind Massage)), ripenso a Blind, il film della sezione Panorama che mi ha colpito di più fra i pochi(ssimi) visti. Non ha vinto niente all’interno della sezione, ma la cosa non mi preoccupa molto.
Quando penso a questo film, penso inevitabilmente che la trama si potrebbe riassumere in un “donna non esce di casa da quando è diventata cieca, ma riesce a superare infine la propria apatia e le proprie fobie grazie alla scrittura e all’immaginazione”, che mi suonerebbe vagamente simile a qualcosa che ho scritto. Ma ovviamente Blind è un bel film e non si può ridurre a queste poche parole.
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shemtkhveviti Paemnebi (Blind Dates)
Blind Dates (shemtkhveviti Paemnebi) è una commedia amara, malinconica come Sandro, personaggio che vive sullo sfondo persino nel film di cui è protagonista. Si mescolano e sovrappongono voci, problemi storici e sociali della Georgia (rifugiati, crisi economica), personaggi più o meno macchiettistici e divertenti, ma Sandro rimane imperturbabile, incapace di interagire con una realtà un po’ troppo distante e crudele per lui.
Le scenette più riuscite e divertenti (per me) sono quelle coi genitori anziani che si lamentano di un figlio incapace di reagire e che potrebbero essere tranquillamente girate da noi, mentre fra i personaggi spiccano Iva, l’amico esperto di calcio e donne che un po’ tutti hanno, e Manana, la donna che pare poter dare una svolta alla vita di Sandro, non fosse che questa non è proprio una commedia e non ha un finale risolutivo e consolatorio. I luoghi sono semplici e spogli, si potrebbe dire poveri, per quanto affascinanti nella loro fatiscenza.
Il ritmo del film in generale è tutt’altro che veloce, specie per le commedie a cui siamo abituati, ma ciò non toglie nulla alla comicità di certe scene e in generale alla riuscita del film. Intreccio e umorismo (mai eccessivo, nonostante le risate quelle sì eccessive del pubblico berlinese, manco ci fosse Ugo Dighero nel ruolo del protagonista) coinvolgono, ma non distolgono dall’empatia col protagonista, interpretato da un ottimo Andro Sakvarelidze (ok, mai sentito ovviamente, ma mi è piaciuto molto) che si distingue rispetto al resto del cast, composto da professionisti e non.
Semplice e bello, nella sua malinconia, condito da ambientazioni e scene ben costruite.
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