Colpito da un flusso di informazioni costanti, alla ricerca di nuovi canali percettivi per poterne assorbire ancora di più, mi trovo spesso a dimenticare ciò che mi passa sotto gli occhi, nelle orecchie, per qualche millesimo di secondi fra le sinapsi del cervello. Nel disperato tentativo di dare senso a quelle brevi scariche elettriche (ammesso che sia possibile), ho bisogno di ricordare, archiviare, catalogare, per potere poi costruire nuovi ponti/mondi/connessioni neurali.
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Philip K. Dick
Vivo, ho vissuto, non vivrò mai
Vide mele, ciottoli e zebre. Sentì il calore, la tessitura di seta dei vestiti; sentì l’oceano che lo lambia e un grande vento del Nord che lo afferrava come se volesse trasportarlo da qualche parte. Sarah era tutt’intorno a lui, e anche Danceman. New York risplendeva nella notte, e i razzi gli sfrecciavano accanto e si urtavano attraverso cieli notturni, giornate di sole, inondazioni e siccità. Il burro si sciolse sulla sua lingua, e allo stesso tempo lo assalirono odori e gusti sgradevoli: l’amara presenza di veleni e limoni e fili d’erba estiva. Annegò; cadde; giacque tra le braccia di una donna in un grande letto bianco e allo stesso tempo strepitò insistente alle sue orecchie il segnale d’allarme di un ascensore difettoso in uno degli antichi e diroccati hotel del centro. Io vivo, ho vissuto non vivrò mai.