Li stimo. Ho capito che farò sempre fatica a mescolarmi perdutamente a qualsiasi gruppo – soffro di un deficit di entusiasmo, che è il collante dei grandi gruppi – ma sono contento ci siano loro per me a cantare con l’ukulele, camminare scalzi, e non giudicarmi se in mezzo a loro sembro un becchino. Ma li stimo soprattutto per lo sciopero della fame, una forma d’amore costretta ad attraversare un percorso di sofferenza.