fumetti

interni: due appunti

Interni è stato un fumetto misterioso per me, iniziato un po’ per caso in Salaborsa, apprezzato il primo, affascinato dal secondo e… perso nel tempo il terzo, mai rinvenuto nel catalogo della biblioteca.
Rimasta così in sospeso l’opera si è caricata di un’aura mitica pari solo alle storie a puntate sui Topolino da piccolo, spesso lette a distanza di estati a casa altrui, a volte mai finite. Grazie alla ristampa integrale a dieci anni e alla mia riscoperta di questo integrale a distanza di altri sette anni, ho potuto finalmente colmare questa lacuna e chiudere un cerchio che in parte desiderava rimanere aperto.
Questo non è un appunto, ma è significativo per la mia esperienza di lettura, che verrà forse viziata e frustrata da questo mio desiderio di apertura finale, scoperchiamento del vaso di pandora, rottura dello schema e della forma, con un fotoromanzo (fumetto come arte sequenziale, non necessariamente disegnata) che fa collassare vari metalivelli in un punto: la ricerca di una storia da vivere, una coerenza, un’emergenza all’interno della storia stessa che la rende concreta.
E poi il terzo volume: nuovi meta-livelli (ma sempre quelli), paralleli, deviazioni oniriche molto interessanti, un j’accuse dell’aspetto consolatorio delle storie, storie di cui però abbiamo bisogno per vivere, storie all’interno di un sistema capitalistico globale, storie da cui non possiamo sottrarci.
Come Albert si sottrae dalla visione del futuro capitalista degli alieni, Interni stesso sembra volersi sottrarre alla definizione di fumetti, alla sua conclusione, ma invece…
Alla fine si giunge a una conclusione e una meta-conclusione ancora una volta sovrapponibili, che è un po’ il fascino e la vertigine di questo racconto, ma è anche la sua incapacità di fuggire davvero da quella chiusura narratologica dalla quale affermava di voler scappare. Non riesce a fare una mossa alla Beckett o Auster di scardinamento del mezzo linguistico-narrativo, il finale quasi consolatorio e da perfetta scuola di scrittura, il percorso risolto che fa uscire migliorato tanto il protagonista quanto lo scrittore mi lasciano un po’ l’amaro in bocca.
Mentre leggevo Interni, più volte mi è venuto in mente Città di vetro di Auster, il fumetto di Karasik e Mazzucchelli*, dove senza dirlo tanto si mette davvero alla prova la tenuta del media fumetto assieme alla sanità mentale (e narrativa!) del protagonista. Il movimento non è più centripeto alla ricerca di una soluzione, ma centrifugo verso altri lidi, senza direzioni precise né risposte chiare.
Quindi alla fine? Un sacco di belle idee, una scommessa vinta, un percorso che si moltiplica, ma che alla fine si chiude. Non sarebbe un male, ci sono tantissimi bei percorsi chiusi, ma a me piacciono quelli aperti (come quello che mi aveva lasciato in sospeso alla fine del secondo capitolo).

*Riletto oggi per l’ennesima volta: ancora meglio di come lo ricordassi, ogni volta è meglio, come in un processo di fermentazione infinita, ritagliabile da ogni interpretazione su un nuovo piano fecondo quanto i precedenti – questo vuol dire l’opera aperta, l’opera d’arte, uno dei capolavori della mia vita.

Fumetti estivi

Recap delle letture fumettose estive (quale giorno migliore per far finire l’estate?):

Larcenet – BLAST
Parto subito col capo: ho colto l’occasione dell’integrale Coconino per fare la follia e non me ne sono pentito. Fantastico sia dal punto di vista formale che narrativo. Disegni e parole come solchi nel cervello e nella memoria. Protagonista (Polza Mancini!) stupendo e respingente allo stesso tempo, impossibile non volergli almeno un po’ bene per la sua incapacità di odiare, per la sua speranza/disperazione tridimensionale, per la sua fabula dalla quale non vorremmo uscire mai, nonostante le incongruenze. Quando ci si scontra con la realtà è l’ennesimo colpo al cuore di una storia già costellata di atrocità. Nerissimo, bellissimo.

Taniguchi – Gourmet 2
Caruccio, come il primo. A prescindere dal cibo (nel primo più cose giapponesi/tradizionali, quindi meglio), mi piace anche l’atmosfera dimessa e apparentemente fragile che Taniguchi (pur non scrivendo, qui) riesce sempre a infondere nei suoi lavori. Fra un piatto instagrammabile e l’altro, emergono anche le logiche di pensiero e le usanze nipponiche che rendono questo fumetto qualcosa di più di una lista della spesa ben illustrata (“sarà strano se mi siedo qui da solo?”).

Taniguchi – Al tempo di papà
Sfrutto l’uscita da edicola dell’opera omnia di Taniguchi per colmare un altro buco. I fumetti semi-autobiografici di Taniguchi sono probabilmente i migliori, e mi piace pensare a questo come un dittico con il precedente Zoo d’inverno: entrambi splendidi, entrambi pervasi di quella sensibilità unica, l’ambiguità del protagonista alter-ego, quella forza e debolezza che Taniguchi infonde anche nei suoi incredibili disegni oltre che nei suoi personaggi.

Sclavi – Le voci dell’acqua
Questo in realtà l’ho letto qualche tempo fa, ma un po’ deludente. Sembrano gli scarti dei romanzi dei bei tempi della Camunia (citati anche esplicitamente, fin dal nome del protagonista). Godibile se si un fan di Sclavi, ma operazione un po’ inutile. Molto meglio l’ultimo Dylan Dog scritto qualche anno fa.

Canales/Guarnido – Blacksad
Bellissimo! Non pensavo, ma mi ha coinvolto dalle prime pagine in quell’atmosfera densa e noir che alla fine mi sembra sempre funzionare meglio per immagini che a parole (almeno per quanto mi riguada). Ovviamente mi ha fatto venire in mente anche il caro vecchio MM, del quale sono corso a rileggermi qualche vecchio numero. Bei tempi quando Faraci era al top.

Questo mi porta alla doppietta Faraci/Ziche dell’estate:

Diabolik sottosopra (in allegato con il Diabolik di agosto) e Groucho-con (nell’ultimo Dylan Dog color fest).
Una volta cercavo accuratamente gli arretrati dei Topolino contenenti le rare storie di Faraci/Cavazzano e seguivo le telenovelas disneyane della Ziche, per non parlare delle innumerevoli collaborazioni fra i due (evento il loro numero su PK). Poi, non so se sono cresciuto io o è invecchiato Faraci (MM di cui sopra mi farebbe propendere per la seconda), insomma, le sue ultime prove non è che mi abbiano proprio colpito. Qui molto meglio con Groucho, mentre la parodia di Diabolik abbastanza deludente. D’altronde anche abbastanza inutile quando c’era già stato lo splendido Ratolik del solito, geniale Ortolani.

Nota: nello stesso Color Fest c’è anche una storia di Groucho di Bilotta, lui invece ormai sceneggiatore del momento che non ne sbaglia una, e infatti anche qui firma l’episodio migliore del numero.

Le non-classifiche del 2014 #3: qualche libro (e un fumetto)

Ancora niente classifiche, solo titoli, e in questo caso neanche dell’anno passato.
Semplici libri (e fumetti) letti durante il 2014.
Viste le date di pubblicazione della maggior parte dei libri citati, qui la dicitura “dell’anno” qui fa particolarmente ridere.
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Le classifiche del 2013 #5: 9 libri e 3 fumetti

Questa classifica comprende libri letti nel 2013 e non del 2013, perché non sono sul pezzo nelle letture (e non mi interessa neanche esserlo, con la musica e il cinema già un po’ di più, anche se sono comunque tendenzialmente poco reattivo alle novità). L’unica uscita del 2013 presente nella classifica di oggi è il primo fumetto, che poi è una riedizione deluxe di un fumetto seriale (chissà quale!) uscito nel 2009.


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