esercizi di stile

Esercizi di stile: parole composte/inventate

Pedalausculto i Beatles verso il lavorufficio.
Mi decappottizzo e subitamente vengo superiorconvocato. Mi circumconversaziona senza infinalizzare, conclusiona con un “vedi un po’ tu cosa puoi fare”.
Domandizzo fino alla richiestazione di un’iscrittanalisi del software (compitazione della sudditta produscrittrice).
Pomeridianamente, ottengo con un elettrocarteggio la prodocumentazione. La superinoltro per subitanelogiazioni.

Esercizi di stile: animismo

La bicicletta mi condusse fino all’ufficio, mentre gli auricolari mi urlavano nelle orecchie la musica dei Siouxsie and the Banshees. Il freddo mi aggrediva la faccia e le mani.
Il cappotto e il cappello scivolarono via da me, come di propria volontà, ma subito udii la voce della stanza accanto fare il mio nome. La giacca troppo piccola e quella cravatta che strozzava la gola mi dicevano parole vuote, nelle quali non scorgevo un senso. Solo alla fine colsi delle penne sbattere sul tavolo una frase vaga “vedi un po’ tu cosa puoi fare”.
Senza che ne articolassi il pensiero, furono le mie mani, la mia camicia, i miei calzoni incapaci di trovare pace in quell’ufficio, fu la mia voce infine a chiedere ulteriori dettagli che non mi interessavano affatto. Compresi infine che un documento scritto mi aspettava, un resoconto, un rapporto tecnico, un’analisi dettagliata, qualcosa su cui non avevo il minimo potere.
Il mio computer e quello di un programmatore della ditta referente comunicarono tramite mail per mezza giornata, prima di concedermi una copia del documento richiesto. Mi guardò dallo schermo, spietato, ma io gli sorrisi. Quando raggiunse anche il mio capo reparto, fu di nuovo la voce della sua stanza, gonfia, strozzata, a chiamare il mio nome. Per dire grazie con un certo sollievo stavolta.

Esercizi di stile: controverità

Mi allontano da casa in treno, alla radio passano i Take That. Il caldo mi accarezza la pelle.
Non ho mai indossato un cappotto o un cappello, mi caccia via il tirocinante. È molto preciso nel non rivolgermi parola.
Intuisco subito cosa vuol dirmi e inizio a vagare per la città (hobby normalmente del nostro club ricreativo che non si occupa affatto di ciò che svolgo per lavoro).
La mattina, prima di contattare qualcuno, avevo perso la registrazione vocale di un meccanico di camion che non ha nulla a che fare col mio hobby. Nascosi la registrazione al mio tirocinante, il quale mi aveva precedentemente maledetto e insultato per la lentezza.

Esercizi di stile: realtà alternativa (giornalista)

Raggiungo la redazione in bicicletta, i Rolling Stones a palla negli auricolari. Fa caldo, ma ho la camicia arrotolata.
Appena accendo il computer, vengo convocato dal caporedattore. Mi fa tutto un discorso vago su un’edizione particolare, articoli che devono uscire, rapporti e redazionali, poi mi dice “vedi un po’ tu cosa puoi fare”.
Capisco solo dopo una certa insistenza che si aspetterebbe da me un’articolo lungo sul nostro giornale, in occasione del ventennale del nostro giornale, qualcosa da citare nel redazionale (compito normalmente del caporedattore, cioè suo).
Nel pomeriggio, dopo un giro di mail, ottengo finalmente l’articolo di dieci anni prima usato per il decennale. Cambio qualche parola, aggiungo un paio di paragrafi sugli ultimi anni, le nuove tecnologie, la trasformazione del giornalismo. Inoltro il tutto al caporedattore, il quale mi ringrazia e mi elogia per la professionalità.

Esercizi di stile: realtà alternativa (ospedaliero)

Raggiungo l’ospedale in ambulanza, ascoltando i Current 93.
Appena mi tolgo il camice, me lo devo rimettere che vengo convocato dal primario in sala operatoria. Mi fa tutto un discorso vago sulla sterilizzazione, la sicurezza sul posto lavoro, l’importanza in un’ospedale delle misure igieniche, poi mi dice “vedi un po’ tu cosa puoi fare”.
Capisco solo dopo una certa insistenza che si aspetterebbe da me l’ordine dei nuovi camici e mascherine da sala operatoria (compito normalmente del capo reparto).
Nel pomeriggio, dopo un giro di mail, ottengo finalmente un pacco nuovo di materiale rimasto in magazzino, per fortuna ne avevamo ancora di scorta. Lo mostro al primario, il quale mi ringrazia e mi elogia per la puntualità.

Esercizi di stile: realtà alternativa (sportivo)

Raggiungo il campo sportivo in bici. Fa caldo e ascolto i Prodigy a palla.
Appena mi metto le scarpe da correre, mi chiama il mio allenatore. Mi fa tutto un discorso vago sulla preparazione finalizzata, le gare del decathlon, e non so quant’altro.
Capisco solo dopo una certa insistenza che si aspetterebbe da me che comprassi delle chiodate specialistiche, visto che ancora uso solo quelle generali, da mezzofondo.
Nel pomeriggio, dopo allenamento, vado da mio cugino che ha un negozio di scarpe e me ne procuro un paio da velocità e un paio da alto. Per il resto si vedrà. Il giorno dopo il mio allenatore è contento della mia attrezzatura e della velocità con cui me la sono procurata.
Non sa che mio cugino mi fa lo sconto su tutto.

Esercizi di stile: realtà alternativa (pianista)

Raggiungo la scuola di musica in bus, ascoltando Béla Bartók. Fa freddo, ma ho le mani coperte.
Appena mi tolgo cappotto e cappello, vengo convocato dal mio maestro. Mi fa tutto un discorso vago sul tenere il ritmo, i prossimi esami e gli esercizi che sto preparando, poi mi dice “vedi un po’ tu cosa puoi fare”.
Capisco solo dopo una certa insistenza che si aspetterebbe da me che comprassi un metronomo, come se non ne avessero qui alla scuola.
Nel pomeriggio, dopo essere tornato a casa per pranzo, prendo il metronomo di mio padre, quello che ho sempre usato per fare esercizi. Lo metto nella borsa per la lezione e il giorno seguente lo presento al maestro. Lui mi ringrazie e si compiace per l’ottimo modello: “di un’altra epoca!”.

Esercizi di stile: realtà alternativa (in spiaggia)

Raggiungo la spiaggia in auto, tettuccio aperto, braccio fuori, Daft Punk a palla.
Appena mi tolgo le ciabatte e mi tuffo in acqua, vengo chiamato da mia moglie. Mi fa tutto un discorso vago sul fatto che abbiamo la pelle sensibile, il sole d’agosto, i tumori alla pelle, poi mi dice “vedi un po’ tu cosa puoi fare”.
Capisco solo dopo una certa insistenza che si aspetterebbe da me che andassi a comprare la crema solare che si è dimenticata (normalmente fare la borsa da mare è compito suo).
Nel pomeriggio, quando risaliamo al bagno per mangiare qualcosa, chiedo al bagnino che conosco se mi può prestare la crema solare. È un mio amico delle superiori e molto disponibile, lo ringrazio e torno da mia moglie con la crema solare.
Lei è contenta, mi ringrazia e mi elogia per l’economia.

Esercizi di stile: omoteleuti 3

Vado bello bello all’ufficiello in biciclello. È un po’ freschello, tira un venticello, ma ascolto Paolo Bello.
Mi tolgo il cappello, e subito il superiorello, un vecchierello paffutello, mi fa tutto un discorsello, manco fosse un indovinello. Non ci capisco un bacello in tutto questo carosello, allora chiedo al furfantello cosa vuole sul più bello.
Lui mi dice “Giovincello, ho bisogno di un libello”. Si tratta del nuovo applicazioncello. Ho bisogno di un modello, non posso scrivere il libello, se ne occupa quel birbantello del programmatorello. Mi siedo sul mio sgabello, cerco qualche contattello, poi dirigo il mio battello verso il referentello. Non c’è nessun tranello, quello mi risponde e manda il mio libello, cosí che io possa bello bello girarlo al furfantello.
Il vecchierello mi ringrazia e si compiace scioccherello, cinguettando come un uccello.

Esercizi di stile: omoteleuti 2

Giaccio all’ufficio, passando per l’adiaccio, ascoltando un gruppaccio, er Piottaccio.
Appena al calduccio, viene il capoccia al mio tavolaccio e mi fa un discorso a braccio di un fattaccio, manco fosse un pagliaccio. Taccio.
Però poi non m’allaccio, è un cagnaccio, e gli faccio che mi spieghi meglio cosa vuol che faccio. Che caccio.
Vuol da me uno scartafaccio, di quel pastiticciaccio informaticaccio. Non lo saccio, mi lascia lì nell’impaccio, ma devo chiedere a quelli dell’altro ufficio, che ci ha fatto sto lavoraccio. Traccio un listaccio di contatti, poi trovo un geniaccio e gli scrivo un dispaccio. Per fortuna il tipaccio mi invia il documentaccio e io lo giro al capoccia. Quel vecchiaccio.
Quello viene e mi aspetto il boccio, ma poi mi compiaccio: dopo il grazie per poco non ci scappa anche l’abbraccio.