Raggiungo l’ufficio sulla mia cara vecchia Bianchi, ascoltando i Korn col mio lettorino Creative (auricolari Senheiser). Che canzone? ADIDAS. Fa freddo, ma ho la mia giacca North Face e non temo niente e nessuno.
Arrivo in ufficio e accendo il mio Sony VAIO, ma subito vengo chiamato dal mio capo reparto. Ci vado di corsa, sulle mie comode Nike, e ascolto cos’ha da dirmi, tutto vestito Emporio Armani dalla testa ai piedi. Chissà se pensa di impressionarmi. Perché col suo discorso non lo fa di sicuro. A quanto pare mi devo occupare di un app per i nostri dispositivi Android, i cui costruttori non ci hanno ancora mandato l’analisi tecnica.
Non c’è problema, non ho neanche bisogno di accendere il mio Samsung S6 Edge per provarla. Cerco il profilo della ditta su Linkedin, trovo il programmatore referente su Xing e gli mando una mail precisa come uno Swatch (il Rolex è troppo). Mentre aspetto la risposta, studio i miei prossimi acquisti su Amazon e Zalando, ma il tipo è troppo efficiente.
Giro la mail al mio capo e vado a ricevere gli elogi e postarli su Twitter. Magari ci facciamo anche un selfie, con la mela del suo portatile in primo piano però.
esercizi di stile
Esercizi di stile: lingua facilitata
Vado all’ufficio, che è quel luogo dove lavoro tutti i giorni. Uso la bicicletta. Ascolto i Musica per bambini. Fa freddo.
Quando arrivo in ufficio, mi tolgo il cappotto e il cappello. Il capo reparto, che è quella persona che mi dà gli ordini e i lavori da fare, mi chiama. Mi parla molto, ma capisco poco. Mi dice: “vedi un po’ tu cosa puoi fare”.
Faccio altre domande. Capisco che vuole un’analisi scritta, che è un documento con scritti i dettagli tecnici, di un’applicazione web, che è un programma che usiamo al lavoro, ma non è installato nei nostri computer, e lo usiamo tramite internet. Questo lavoro di solito lo fa la ditta che ha creato il programma, che non è quella dove lavoro io. Il capo vuole questo documento da me.
Scrivo alla ditta che ha creato il programma. Mi risponde un programmatore, che è una persona che per lavoro scrive programmi. Il programmatore mi manda il documento che vuole il mio capo. Io mando il documento al mio capo.
Il mio capo è contento. Anch’io.
Esercizi di stile: zoologico
Cavalco il mio puledro fino allo zoo, ascoltando le cicale suonare gli Animal Collective.
Appena mi svesto della mia pelliccia, mi chiama quel solito orso. Grugnisce qualcosa, ma forse vuole solo del miele.
Torno alla mia gabbia e nitrisco un po’ con quel lama dell’altro zoo. Mi manda quel che mi serve con un piccione, anche se tutto insalivato. Lo porto all’orso di prima, che grugnisce di piacere e per poco non mi stacca la testa con una zampata.
Esercizi di stile: fiaba
C’era una volta un impiegato umile e povero che viveva in una piccola casa in campagna.
Questo impiegato tutte le mattine andava a lavorare in bicicletta, perché non aveva altri mezzi. Passava però da in mezzo un boschetto dove gli alberi lo proteggevano dal sole e gli uccellini cantavano al suo passaggio una dolce melodia dei Genesis.
Una mattina più fresca del solito, l’impiegato arrivò in ufficio tutto infreddolito e si avvicinò alla stufa per scaldarsi un poco. Ma subito l’orco che controllava il suo lavoro lo chiamò con voce tonante dal monte soprastante.
L’impiegatuccio si inerpicò sul per le rocce, per giungere alla grotta dell’orco schiavista. Questi lo aspettava con una faccia accigliata che non faceva presagire nulla di buono.
“Ucci ucci ucci, sento odor di problemucci” iniziò l’orco, andando avanti a torturare il povero impiegato per lungo tempo, senza dirgli perché l’aveva chiamato nel proprio antro. Chiuse il proprio sproloquio con un enigmatico “Vedi un po’ tu cosa puoi fare”.
L’impiegato allora raccolse a sé tutte le proprie forze per osare rivolgere una domanda tanto diretta all’orco, e chiese cosa si aspettasse da lui. Solo allora l’orco rispose che esigeva che gli si portasse la statua del re a grandezza naturale per il giorno successivo. Se ce l’avesse fatta l’orco l’avrebbe lasciato libero una volta per tutte, con un’ottima buonauscita, altrimenti se lo sarebbe mangiato vivo. E gli avrebbe dimezzato lo stipendio.
Questa statua però era molto famosa, e non tanto per il materiale, plasticaccia e derivati vari, quanto per la sua inspiegabile predilezione del re, che l’aveva voluta nel proprio giardino e non l’avrebbe ceduta a chicchessia. Figuriamoci all’ultimo degli impiegati dell’orco cattivo.
L’impiegato però si ricordò di aver già conosciuto lo scultore della statua in questione e gli venne un’idea. Prima di tutto però doveva contattarlo, e per questo si affidò ai suoi amici uccellini. Grazie a loro le missive e le relative risposte giunsero in tempo per attuare il piano dell’impiegato, sempre più preoccupato man mano che il tempo passava. Non poteva certo mettersi lui a scolpire una statua simile! Non avrebbe saputo da dove cominciare e il falso sarebbe stato notato anche da un grezzone come l’orco.
Proprio quando la giornata lavorativa stava per concludersi, arrivò la risposta che l’impiegato stava aspettando. Con le giuste informazioni, si diresse dal mago che abitava poco lontano l’ufficio, mentre l’orco dall’alto lo osservava e si sfregava le mani, certo dell’insuccesso di quello stupido impiegatuccio.
Il mago però sapeva il fatto suo e accettò di buon grado la richiesta dell’impiegato, dietro la promessa di un oggetto mistico da portare al polso, possibilmente marchiato rolex. Mentre si sentivano già rumori strani e lampi di tutti i colori uscivano dalle finestre del mago, l’impiegato andò in centro a procurarsi l’oggetto mistico richiesto. Gli sarebbe costato una fortuna, ma in caso di successo non avrebbe avuto problemi economici…e in caso di in successo, beh, meglio non pensarci!
La mattina dopo, l’orco, sbalordito, trovò la statua del re proprio nel suo ufficio, affianco all’impiegato che non riusciva a nascondere un sorriso di compiacimento. Pur malvolentieri, l’orco dovette mantenere la parola data e l’impiegatuccio smise di lavorare una volta per tutte e visse felice e contento per il resto della sua vita.
Per fortuna l’orco cattivo non conosceva le stampanti 3d.
Esercizi di stile: distopico
Pedalo con il vento artificiale che mi spinge in una sola direzione: quella del lavoro. Nelle orecchie va in loop un pezzo dei Laibach senza che io possa cambiarlo o saperne il nome.
Mi siedo nel mio cubicolo, lo schermo e le cuffie da lavoro già incorporate, come me decine, centinaia e forse migliaia di fianco, sopra e sotto di me. Nelle cuffie suona subito la voce del mio capo, che compare anche nello schermo sostituendo il codice che stavo scrivendo. Mi fa tutto un discorso vago e vagamente minaccioso su un’applicazione software arrivata da una misteriosa ditta del regime, poi mi dice “agisci”.
Qualche minuto dopo, ottengo il documento elettronico richiesto da un dipendente di cui leggerò il necrologio pochi giorni dopo. Pare tutto regolare e spero che lo sia quando lo inoltro al capo reparto. Non ottengo alcuna risposta.
Esercizi di stile: tattile
Raggiungo l’ufficio in bicicletta, stringendo il manubrio gommoso e il lettorino lucido che mi suggerisce i Bloodhound Gang.
Appena mi appoggio alla scomoda sedia della mia postazione, vengo afferrato per le spalle dal capo reparto. Mi fa tutto un discorso intangibile su un’applicazione software che abbiamo comprato, poi mi dice “smanetta un po’ e poi fammi sapere”.
Si sbottona solo dopo qualche spintarella e capisco che si aspetterebbe di mettere le mani su di un’analisi scritta e levigata del prodotto in questione (compito normalmente della ditta che ha prodotto e fabbricato il software).
Nel pomeriggio, dopo aver consunto sia i tasti che i polpastrelli per battere mail, ottengo finalmente il suddetto documento da un programmatore un po’ ruvido. Inoltro l’analisi del software al mio capo reparto, il quale mi ringrazia mollemente e mi elogia senza stringermi la mano.
Esercizi di stile: uditivo
Raggiungo l’ufficio con una bici scassata e cigolante, ascoltando i The Music.
Appena la ventola del computer inizia a ronzare, vengo chiamato dal capo reparto urlante. Mi fa tutto un discorso stonato su un’applicazione software che abbiamo comprato, poi mi dice “senti un po’ tu cosa puoi fare”.
Capisco solo dopo un concerto di domande che si aspetterebbe da me un’analisi intonata sul prodotto in questione (compito normalmente della ditta che decantato e venduto il software).
Nel pomeriggio, dopo un giro di messaggi vocali e chiamate, ottengo finalmente il suddetto documento da un programmatore che suone le tastiere come pianoforti. Inoltro l’analisi del software al mio capo reparto, il quale si lancia in elogi canterini per la rapidità.
Esercizi di stile: olfattivo
Raggiungo l’ufficio annusando una canzone dei Nirvana. Per strada la brina anestetizza il mio impianto olfattivo, ma sudo lo stesso.
Appena mi tolgo cappotto e cappello, sento l’odore acre del sudore mischiarsi a quello di chiuso dell’ufficio. La voce pestilenziale del mio capo mi chiama. Mi fa tutto un discorso fumoso su un’applicazione software che abbiamo comprato, poi mi dice “segui la pista e fammi sapere”.
Capisco solo dopo diverse sniffate che si aspetterebbe da me un’analisi scritta e profumata del prodotto in questione (compito normalmente della ditta che ha venduto l’odoroso software).
Nel pomeriggio, dopo un giro di mail alla fragranza di limone, ottengo finalmente il documento a cui inspiravo. Inoltro l’analisi del software al mio capo reparto, il quale annusa l’aria prima di lanciarsi in un effluvio di ringraziamenti.
Esercizi di stile: visivo
Raggiungo l’ufficio in un baleno, vedo la pubblicità di un concerto dei Third Eye Foundation.
Non faccio in tempo a guardare un video su YouTube che vedo la chiamata del capo. Nascosto dietro alla sua scrivania, mi fa un discorso oscuro su un’applicazione software che abbiamo comprato, poi mi dice “vedi un po’ tu cosa puoi fare”.
Chiedo delucidazioni sul mio compito e capisco che vorrebbe avere sotto gli occhi un’analisi scritta e illustrata del prodotto in questione (compito normalmente della ditta che ha scritto e svelato il sofftware).
Nel pomeriggio, dopo un po’ di tempo davanti a uno schermo luminoso, ottengo finalmente il documento chiarificatore da un programmatore che scrive le mail in viola. Inoltro l’analisi del software al mio capo reparto, il quale mi ringrazia con ampi gesti e mi elogia per la visionarietà.
Esercizi di stile: gustativo
Raggiungo l’ufficio in bicicletta, assaporando una canzone degli Smash Mouth.
Ho ancora il sapore dei cornetti in bocca che il capo mi grida parole amare. Mi fa poi tutto un discorso insipido su un’applicazione software che abbiamo comprato, poi mi dice “fammi assaggiare qualcosa di buono”.
Capisco a spizzichi e bocconi che si aspetterebbe da me un’analisi scritta e leccata del prodotto in questione (compito normalmente della ditta che preparato e infornato il software).
Nel pomeriggio, dopo un giro di mail zuccherose, ottengo finalmente il suddetto documento da un programmatore dalla voce aspra. Inoltro l’analisi del software al mio capo reparto, il quale si fa subito dolce e mi ringrazia e mi elogia per il buon gusto.