La consapevolezza che non leggerò mai tutti i libri che vorrei leggere e neanche solo quelli già presenti in casa dei miei (da piccolo avevo la fantasia di leggerli tutti, anche quelli che non mi interessavano, per una mania catalogatrice/esploratrice, come se attraverso i libri potessi leggere anche la vita dei miei genitori o cose così, o come se quella libreria rappresentasse lo scibile umano e io potessi esaurirlo) si è aggiunta solo di recente alle mie angosce. Per questo apprezzo particolarmente quando trovo connessioni nelle mie letture, delle direzioni quasi, quando capita che un libro mi porti direttamente al successivo, creando una coerenza all’interno della mia vana esplorazione senza fine.
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Claudio Magris
Forse
Forse scrivere significa colmare gli spazi bianchi dell’esistenza, quel nulla che si apre d’improvviso nelle ore e nei giorni, fra gli oggetti della camera, disucchiandoli in una desolazione e in un’insignificanza infinita. La paura, ha scritto Canetti, inventa dei nomi per distrarsi; il viaggiatore legge e annota nomi nelle stazioni che oltrepassa col suo treno, sugli angoli delle strade dove lo portano i suoi passi, e procede un po’ sollevato, soddisfatto di quell’ordine e di quella scansione del niente.
Troppe letture
Di solito le mie letture procedono in maniera lineare, finito un libro sotto il prossimo, con pochi spazi per le letture in parallelo, eppure ultimamente mi capita il contrario. Temi e forme diverse, forse l’assenza del capolavoro che tiene incollato o l’approccio rizomatico (epilettico?) della lettura online che ormai mi ha divorato il cervello. L’inappetenza estiva scivola in mille rivoli di lingue e parole diverse.
Questo non mi impedisce di godermi le varie possibilità.
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