«Posto che non sia troppo tardi, — incalzava il dott. Caverna, — occorre capire bene nella testa una volta per tutte che esiste e sempre più vigoreggia nel mondo un modo ministeriale di essere, di intendere e di volere, una forma ministeriale della realtà; che i regimi prima di essere dispotici o liberali, monarchici o repubblicani, aristocratici o democratici, socialisti o no, sono tutti eminentemente burocratici; che i tre poteri non sono, come vorrebbe la distinzione classica, propriamente tre, bensì uni e trini. Vero è pertanto che il principio ministeriale si accampa fra i principi del governo dell’esistente in posizione di tutto predominio, quasi motore immobile o causa prima o Idea.
Su questa linea, appunto, la famosa distinzione dei poteri condificata dal Montesquieu si appalesa del tutto surrettizia: distinzione cioè fra gli attributi formali di un potere unico e mai scisso; avendosi così una Ministerialità legislativa, una esecutiva e una giudiziaria; onde lo stato di infelicità, di insicurezza, di frustrazione, di colpa, di angoscia, di follia dichiarata e di morte dei cittadini suol essere direttamente proporzionale al volume delle cosiddette provvidenze che li riguardano. Poiché l’apparato statale, e in genere l’apparato normativo e amministrativo di qualsiasi organizzazione umana, è portatore di una siffatta concezione della socialità per cui l’ordine burocratico modernamente si ciba non più e non soltanto del sangue e della carne (come già il Minotauro, tipico direttore generale dell’età preellenica) bensì piuttosto dell’anima e della ragione dell’uomo».
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