O mio ipocrita lettore, mio simile, mio amico, perdonami se cito Guccini (che a sua volta cita altre fonti più letterarie), ma conosci la mia propensione, il mio apprezzamento per il cantautore emiliano. Sai bene anche del freddo col quale combatto ogni mattina per giungere al lavoro in bicicletta, pur di non tardare di un minuto davanti alla timbratrice che ti descrivetti anche tempo addietro.
E allora perché tu, capo reparto borioso, tu mi convochi con tutta urgenza, senza neanche sapere di cosa blaterare, chiedere, ordinare. Perché mi abbai contro, come un cane impotente, facendo richieste insensate per la tua posizione come per la mia. Tu non immagini quanto sia difficile e allo stesso tempo semplice adempire alle tue futili richieste. Non lo immagini perché sorridi felice e mi ringrazi, quando quello stesso pomeriggio ti inoltro un documento come fosse prodotto del mio faticoso lavoro, quando ti sarebbe stato sufficiente l’invio dei una mail, come è stato sufficiente per me.
Perdonami per queste parole dense di livore, ma a volte mi esasperi tu, mio ipocrita datore di lavoro.