l’oscurità non si dirada

L’oscurità non si dirada, anzi si fa più fitta al pensiero di quanto poco riusciamo a trattenere, di quante cose cadano incessantemente nell’oblio con ogni vita cancellata, di come il mondo si svuoti per così dire da solo, dal momento che le storie, legate a innumerevoli luoghi e oggetti di per sé incapaci di ricordo, non vengono udite, annotate o raccontante ad altri da nessuno.

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addirittura esasperate

Fra gli artisti e gli intellettuali mi trovavo non meno a disagio che nella vita borghese, e stringere un’amiciza personale già da lungo tempo era un’impresa superiore alle mie forze. Appena conoscevo qualcuno, subito pensavo di essermi consentito un’eccessiva confidenza; appena qualcuno si rivolgeva a me, io cominciavo a prenderne le distanze. Se in generale qualcosa mi legava ancora agli uomini, erano in definitiva soltanto certe forme di cortesia, da me addirittura esasperate, il cui fine — come oggi so, disse Austerlitz — era non l’omaggio all’interlocutore del momento, ma la possibilità di sottrarmi alla consapevolezza di essere sempre vissuto — per quanto indietro riuscissi a risalire con il pensiero — in uno stato di assoluta disperazione.

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una nebbia impenetrabile

A voler considerare la lingua come una vecchia città con il suo intrico di vicoli e piazze, con quartieri dalla genesi remota, con rioni demoliti, risanati e di nuova costruzione, e con sobborghi che sempre più si estendono all’intorno, io potevo paragonarmi a un uomo che, dopo una lunga assenza, non si ritrova più in tale agglomerato, non sa più a cosa serva una fermata né cosa siano un cortile, un incrocio, un boulevard o un ponte. L’intera articolazione della lingua, l’ordine sintattico delle singole parti, la punteggiatura, le congiunzion e infne persino i nomi degli oggetti comuni, tutto era avvolto in una nebbia impenetrabile.

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per esempio

Se fosse venuto qualcuno per condurmi al patibolo, gli avrei lasciato fare di me ciò che voleva senza proferir parola, senza aprire gli occhi, al pari di chi, in preda a forte mal di mare, per esempio durante una traversata del Caspio in piroscafo, non opporrebbe esistenza alcuna qualora gli dicessero che stanno per gettarlo in acqua.

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in quale mare

Il tempo — così disse Austerlitz nell’Osservatorio di Greenwich — è, fra tutte le nostre invenzioni, senz’altro la più artificiosa e, nel suo essere vincolata ai pianeti che ruotano intorno al proprio asse, non meno arbitraria di quanto lo sarebbe ad esempio un calcolo basato sulla crescita degli alberi o sul periodo impiegato da una pietra calcarea per disgregarsi, a prescindere poi dal fatto che il giorno solare, in base al quale ci regoliamo, non fornisce una misura esatta, sicché noi, anche al fine di calcolare il tempo, siamo stati costretti a escogitare un immaginario sole medio, la cui velocità di rotazione non cambia e che, nella sua orbita, non è incinato verso l’equatore. Se Newton riteneva, disse Austerlitz — e intanto indicava attraverso la finestra l’ansa del fiume che, luccicante nell’ultimo riverbero del giorno, abbracciava la cosiddetta Isola dei cani —, se davvero Newton riteneva che il tempo fosse un fume come il Tamigi, dov’è allora la sorgente del tempo e in quale mare esso sfocia alla fine?

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è abbastanza per me

[…] tutta la scrittura dell’autore deve all’incontro con Thomas Bernhard, avvenuto nei mesi appena successivi all’entrata in scena del quaderno austriaco, almeno quanto deve a quello con Samuel B. Beckett, avvenuto molti anni prima, che non è inferiore a quello con Francis Bacon, risalente a quello con Beckett; laddove il primo gli ha insegnato che si può benissimo fare a meno dell’odiato cosiddetto discorso diretto, nonché della descrizione; il secondo, oltre a confermare l’impressione di essere nel giusto rinunciando, come abbiamo rinunciato, al discorso diretto, dato che esiste solo il monologo, non è altresì strettamente necessario rinunciare anche alla descrizione, a patto di essere pittorici e mai, ripeto mai didascalici; il terzo, che la pittura, così come la drammaturgia, non è mai narrativa, né tantomeno illustrazione e/o decorazione. Su che cosa effettivamente sia la scrittura, narrativa e/o drammaturgica, e la pittura, questa è un’altra di quelle cose di cui chi scrive deve tacere. Ma non è già molto sapere che cosa non è? Credo di sì, o almeno è abbastanza per me.

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per così dire dal nulla

Nel lavoro di fotografo, ogni volta mi ha incantato il momento in cui sulla carta impressionata si vedono emergere, per così dire dal nulla, le ombre della realtà, proprio come i ricordi, disse Austerlitz, che affiorano anch’essi in noi nel cuore della notte e, per colui che li vuole trattenere, tornano rapidamente a oscurarsi in modo non diverso da una stampa fotografica lasciata troppo a lungo nel bagno di sviluppo.

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lucidità

(203)
Avendo osservato con quale lucidità e coerenza logica certi pazzi (coloro che delirano in modo sistematico) giustificano per loro stessi e per gli altri le loro idee deliranti, ho perso per sempre la certezza della lucidità della mia lucidità.

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la loro futura esistenza di rovine

Prima o poi, disse ancora, bisognerebbe catalogare i nostri edifici, ordinandoli secondo le dimensioni: si scoprirebbe subito che a prometterci almeno un barlume di pace sono proprio quelli collocati al di sotto delle normali dimensioni dell’architettura domestica – la capanna, l’eremo, le quattro mura del guardiano delle chiuse, la specola di un belvedere, la casetta dei bambini in giardino –, mentre di un edificio enorme, come ad esempio del Palazzo di giustizia di Bruxelles, su quello che una volta era il colle della forca, nessuno potrebbe sostenere a mente fredda che è di suo gradimento. Nel migliore dei casi lo si guarda meravigliati, e questa meraviglia è una forma preliminare di terrore, perché naturalmente qualcosa ci dice che gli edifici sovradimensionati gettano già in anticipo l’ombra della loro distruzione e, sin dall’inizio, sono concepiti in vista della loro futura esistenza di rovine.

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