Se, lasciando da parte il problema linguistico, consideriamo più da vicino la coppia di concetti “gioco-serietà”, ci risulta che i due termini non sono equivalenti. “Gioco” è il termine positivo, “serietà” il termine negativo. Il contenuto semantico di “serietà” è definitio ed esaurito con la negazione del gioco: “serietà” è non-gioco, e nient’altro. Il contenuto semantico di “gioco” invece non è affatto circoscritto né esaurito dalla non-serietà. “Gioco” è una cosa a sè. Il concetto “gioco” come tale è d’un ordine superiore a quello di serietà. Perché la “serietà” cerca di escludere il “gioco”, ma il “gioco” può includere benissimo la serietà.
il mio argomento
«Oh Kenneth, Kenneth, credimi… non c’è nulla che mi andrebbe più di fare! Ho una voglia pazzesca di dirtelo. Ma non posso. Non posso, letteralmente. Perché (non lo vedi?) quello che io so, è quello che io sono! E non posso dirtelo. Devi scoprirlo da te. Sono come un libro che tu devi leggere. Un libro non può leggersi da solo. Non sa nemmeno qual è il suo argomento. Io non so qual è il mio argomento…».
il passato
«Ma, Geo – il passato! Non puoi dirmi che non capisci».
«Il passato è solo qualcosa che è stato. Che è finito».
«Oh, quando vuoi sei noioso, sai!».
«No, Charley, lo penso. Il passato è finito. Cercano tutti di convincersi che non è vero, ti portano a vedere i musei. Ma questo non è il passato. E tu il passato non lo ritroverai, né in Inghilterra né altrove».
«Oh, che noia!».
e la fame
Il supermercato è ancora aperto, chiude a mezzanotte. Brilla. Il suo alone di luce offre un riparo contro la solitudine e il buio. Puoi trascorrerci ore intere, in uno stato di incertezza sospesa, meditando su tutto quello che potresti mangiare. Dio santo, quanta roba. Dagli scaffali arriva un coro di suppliche, prendi me, prendi me; e la sola competizione di quei richiami può darti l’illusione di essere desiderato, persino amato. Ma attento, rientrando nella tua stanza vuota ti accorgerai che i piccoli demoni adulatori della pubblicità ti hanno beffato; in mano hai solo cartone, cellophane e cibo. E la fame, boh, è scomparsa.
e arriveranno
George è come se la vedesse, la serata del 1990, quando Russ sarà preside di una facoltà nel Midwest e Marinette sarà la madre di figli e figlie adulti. Un pubblico di giovani incaricati con le mogli, simbolicamente frementi per la vena aneddotica del preside che farnetica e borbotta con un sorriso ebete, perduto in un labirinto di storie banali dove George e moltissimi altri, citati quasi sempre a sproposito, avranno una loro parte. E Marinette, sorridendo indefessa, se ne starà seduta ad ascoltare con il terzo orecchio – quello che ha già sentito tutto – e a pregare che arrivino le undici. E arriveranno. E tutti converranno che è stata una serata memorabile.
prima o poi
Ma ora non è semplicemente ora. Ora è anche un freddo promemoria; un’intera giornata più di ieri, un anno più dell’anno scorso. Ogni ora ha un’etichetta con una data, che rende obsoleti tutti gli ora passati, finché prima o poi, forse – no, non forse, di sicuro – succederà.
naturalmente
È noto che Croce, in alcune pagine della sua Estetica — la sua stupenda Estetica — dice: «Affermare che un libro è un romanzo, un’allegoria o un trattato d’estetica ha, più o meno, lo stesso valore che dire che ha la copertina gialla e che possiamo trovarlo sul terzo ripiano a sinistra». I generi vengono, cioè, negati e gli individui affermati. A questo si dovrebbe aggiungere che, naturalmente, sebbene gli individui siano reali, precisarli significa generalizzarli. Naturalmente, questa mia affermazione è una generalizzazione e non deve essere permessa.
il libro
Fra i diversi strumenti dell’uomo, il più stupefacente è, senza dubbio, il libro. Gli altri sono estensioni del suo corpo. Il microscopio, il telescopio, sono estensioni della sua vista; il telefono è estensione della voce; poi ci sono l’aratro e la spada, estensioni del suo braccio. Ma il libro è un’altra cosa: il libro è un’estensione della memoria e dell’immaginazione.
il corpo
tutto è finito
Sembra che talvolta le anime grandi siano meno spaventate dal dolore che dal suo non durare. In mancanza di una felicità inesausta, una lunga sofferenza costituirebbe almeno un destino. Ma no, le peggiori torture cesseranno un giorno. Un mattino, dopo tante disperazioni, un’irrefrenabile voglia di vivere ci annuncerà che tutto è finito, e che la sofferenza non ha maggior senso della felicità.