Non si può raccontare

«Cos’è che stai scrivendo di preciso?».
«Non si può raccontare».
«Peccato».
«Quale peccato. Vantaggio. I nuovi tempi si gettano su tutto ciò che è stato scritto per trasformarlo in film, programmi televisivi o fumetti. Poiché in un romanzo è essenziale solo quel che non si può dire altro che con il romanzo, in ogni adattamento resta solo quel che non è essenziale. Se un pazzo che oggi scrive ancora romanzi vuole salvarli, deve scriverli in modo che non si possano adattare, in altre parole, in modo che non si possano raccontare».
Avenarius non era d’accordo: «I tre moschettieri di Alexandre Dumas posso raccontartelo con sommo piacere e, se vuoi, dall’inizio alla fine!».
«Sono come te: guai a chi tocca Alexandre Dumas» dissi «Tuttavia mi dispiace che quasi tutti i romanzi che sono stati scritti risultino troppo obbedienti all’unità di azione. Voglio dire che il loro fondamento è un’unica catena di azioni ed eventi legati da un rapporto di causalità. Questi romanzi assomigliano a una via stretta lungo la quale i personaggi vengono mandati avanti a colpi di frusta. La tensione drammatica è la vera maledizione del romanzo, perché trasforma tutto, anche le pagine più belle, anche le scene e le osservazioni più sorprendenti, in una semplice tappa che conduce alla soluzione finale, in cui è concentrato il senso di tutto ciò che veniva prima. Il romanzo si consuma come un fascio di paglia nel fuoco della propria tensione».

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[Milan Kundera, L’immortalità (Nesmrtelnost), 1990,
trad. Alessandra Mura, Adelphi Edizioni 1990, pp.257-258]

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