Non c’è molta differenza fra un anno e l’altro, a volte le cose non accadono prima o dopo ma durante. Non si inizia mai qualcosa di nuovo, al massimo si finisce, ma tendenzialmente si continua.
Così ho continuato a visitare i campi di atletica, gli ospedali, le colline, le spiagge, le solite strade, i soliti luoghi, le case vecchie e nuove, le mostre. Ho visitato una mostra in particolare che mi è piaciuta molto a Forlì, e non solo perché è di un amico.
Alessandro Turoni ha la mia età e tutta la mia stima, il minimo che possa fare è qualche foto e un elogio incondizionato ai suoi Naufragi Evolutivi (bellissimi fin dal titolo): lo spazio del Palazzo del Monte di Pietà è trasformato in un quadro di Friedrich popolato di sculture zoomorfe pronte per l’antropocene e oltre.
Quando guardo questo giaguaro, ultimo relitto naturale che attende l’uomo dopo il naufragio della speranza, non posso non pensare alle tigri blu di Borges, e alla sua utopia.
Come non posso non pensare ai ratti nei muri di Lovecraft mentre osservo la decadente stanza dei topi.
Lovecraft e i suoi uomini orribili, evocatori di Dei apocalittici e della fine di tutte le cose, sperimentatori folli, osceni, magnifici, di una realtà oltre la realtà.
Mentre la scimmia che cerca il suo volto perfetto, fra le tante immagini di sé rovinate, distrutte dal tempo, è un’immagine talmente poetica e immediata che non ha bisogno di rimandi o citazioni per impressionare.
Infine la mia preferita (la più crudele): la Condanna Evolutiva. Che assieme alla Risposta del giaguaro-natura approda su quell’ultima isola bianca, ma non concede neanche il barlume di speranza della Vita e delle sue forme, anzi quasi l’annulla, la ingloba in sé, esprimendosi in via drastica e definitiva attraverso la propria forma zoologica e il contenuto (in)umano.