Lei ha dichiarato una volta che la violenza contemporanea le sembra una sorta di cinica risposta alle promesse del consumismo. Cosa intendeva, di preciso?
Se uno si sente dire continuamente che deve possedere cose che non può permettersi, è chiaro che l’unico modo per diventare consumatore sarà quello di usare la forza. Vediamola da un’altra prospettiva: in tutta l’America siamo pieni di sistemi di registrazione video seminati non solo nelle banche, o nei grandi magazzini, ma anche nei piccoli negozi delle più remote comunità rurali. Mettiamo che un giorno, alle tre del mattino, un uomo si fermi in una pompa di benzina nell’Oklahoma e uccida il proprietario. L’omicidio verrà registrato da una videocamera. Da allora, la videocassetta sarà trasmessa continuamente su tutte le reti nazionali, fino a trasformarsi in qualcosa di rituale. Grazie a questa proiezione ininterrotta, lo spettacolo dell’uccisione viene calato nelle nostre vite quotidiane e assume un coefficiente di realtà sempre maggiore. Inoltre, poiché non si svolge all’interno di una all’interno di una coreografia hollywoodiana, ma in un ambito a noi familiare, risulterà più concreto, più vero e dunque ancora più attraente. In un certo senso, il fruitore di queste immagini si rende protagonista di un atto di consumismo contorto: consuma la violenza continuando a rivedere più volte immagini diventate ormai seriali, da catena di montaggio.
[Francesca Borrelli, Don DeLillo, intervista del 1999 da Biografi del possibile,
Bollati Boringhieri 2005, p.190]
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