Si va innanzi, un’ora, due ore… S’incontra lungo la strada un antico tumulo misterioso o una «donna di pietra», messa Dio sa da chi e quando; vola rasente la terra, silenzioso, qualche uccello notturno e si ridestano a poco a poco nella memoria le leggende della steppa, i racconti dei pellegrini, le favole delle bambinaie native della steppa, e tutto ciò che da noi stessi si è potuto vedere e comprendere nella nostra anima. Nel brusio degli insetti, nelle figure misteriose e nei sepolcri, nel cielo e nella luce lunare, nel volo degli uccelli notturni, in ogni cosa veduta e sentita, balena la giovinezza, la bellezza, il rifiorire delle forze e una tremenda sete di vita: l’anima è un’eco della bella e crudele natura, vorrebbe volare sulla steppa insieme a un uccello notturno; e nell’eccesso di felicità, si prova tensione e ansietà come se la steppa avesse il senso della propria solitudine, come sentisse che la sua ricchezza e il suo incanto si perdono vanamente nel mondo, inutili a tutti, da nessuno cantati; sicché nel suo brusio sordo s’indovina un nostalgico richiamo senza speranza: un poeta, un poeta!
[Anton P. Čechov, La steppa (Степь) da Racconti, 1996,
trad. E. Reggio, M. Shkirmantova, Casa Editrice Principato 1993, p.99]