La morte però non si porta via un filosofo così facilmente. Spinoza ha sostenuto che si muore solo nel senso in cui ci si immagina di vivere, nel senso in cui crediamo che vivere consista nel muoversi, respirare, avere coscienza di sé, svolgere certe funzioni organiche ecc. Ma vivere non si riduce a questo. È anche, anzi è, essenzialmente, partecipare a un’eterna concatenazione di cause e di effetti che fanno variare all’infinito una sola e medesima sostanza. Vivere è precisamente iscriversi come una variazione singolare in questa realtà mobile e immutabile, le cui articolazioni dipendono da regole così complesse che possiamo considerarle al contempo ordinate e disordinate, costanti e caotiche.
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Esistere, in questo senso, significa non essere più io, tu o lei, ma diventare l’espressione di una sostanza unica, infinita e indivisibile. Nell’extratemporalità di questo amore, essere o non essere è indifferente.
[Maxime Rovere, Tutte le vite di Spinoza (Le clan Spinoza), 2017,
trad. Alessandro Ciappa, Feltrinelli Editore 2020, p. 395]