Ieri sera ho visto un film horror al cinema, non so da quanto tempo non succedeva.
Il film in questione è It follows, del giovane regista americano David Robert Mitchell.
La trama è semplice: una maledizione trasmettibile tramite il sesso fa sì che si venga seguiti (lentamente ma inesorabilmente) da una “cosa” che assume sembianze diverse a seconda di chi la vede (e solo i maledetti la possono vedere) e che soprattutto punta ad ammazzare nei modi più disparati le proprie vittime.
Poteva essere un teen horror qualsiasi, ma.
Non è solo un teen horror, qui gli adulti non esistono o quasi (sempre fuori campo o sfuocati, mai risolutivi o anche solo utili).
Non c’è solo il degrado della provincia americana, oggetti provenienti dagli ultimi decenni si mescolano in maniera anacronistica e mantengono la vicenda in un limbo di realtà da sogno, per quanto riconoscibile.
Non c’è il piano finale per uccidere il mostro. O meglio c’è, ma è bambinesco, illusorio, e quindi fallimentare. Non c’è risoluzione. Bellissima la scena conclusiva dei due ragazzi che si tengono per mano (ancora inseguiti?), accettino o meno il proprio destino.
Come i migliori horror, non è solo un horror. E senza bisogno del Metaforone o di una coerenza stretta, le inquietudini dell’adolescenza, la perdita dell’innocenza, la scoperta della propria sessualità, sono le componenti che pervadono questo incubo. E non mi riferisco (solo) al film.
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