Nel mio passato di lettore onnivoro e ondivago, mi sono capitati pochi russi per le mani: qualche racconto di Tolstoj, Bulgakov negli ultimi anni e nient’altro, che io ricordi. Non so esattamente perché quest’anno mi sia deciso a colmare (in piccola parte) questa mia lacuna. Uno dei motivi è la solita metro per andare e tornare da lavoro, un altro potrebbe essere Paolo Nori. O magari, compiuti trent’anni, ho deciso di smettere di rimandare le cose. Sarebbe bello.
E quindi, dopo racconti di Charms, Checov, Gogol’,e altri ancora di Bulgakov (Uova fatali), dopo aver iniziato Guerra e Pace, quest’anno mi trovo ad affrontare per la prima volta anche il tanto chiacchierato Dostoevskij. Non mi è bastato averne letto dai miei scrittori preferiti, né aver comprato mesi fa Memorie del sottosuolo e averlo lasciato sul comodino, in attesa dell’ispirazione, mi ci è voluta l’ulteriore spinta dell’imminente spettacolo teatrale di G. per farmi intaccare finalmente la spaventosa bibliografia di Dosto.
Ho letto Memorie del sottosuolo in quattro giorni, pensando a tutta una serie di altri scrittori che amo, da coloro che l’hanno citato esplicitamente a quelli in cui vedo parallelismi più o meno plausibili, come se fosse un gioco di citazioni al contrario. L’uomo del sottosuolo è probabilmente il capostipite di tutti quei personaggi letterari in cui mi è cosí facile identificarmi: individui che faticano a comprendere i meccanismi sociali, a interpretare i non detti che intercorrono fra le persone, individui che in altre parole “non sanno stare al mondo” e per di più ne sono tristemente consapevoli. Ogni personaggio di Svevo (per dirne uno) è uscito dal sottosuolo, ma come non pensare a Kafka, specie quando l’uomo del sottosuolo dice di non essere neanche stato in grado di trasformarsi in un insetto? E sembra quasi uno scrittore postmoderno (Auster?) quando nelle ultime righe del primo capitolo recita:
“Ma, del resto, di che cosa può parlare col maggior piacere una persona perbene?
Risposta: di sé.
Be’, allora parlerò proprio di me.”
La struttura del racconto innestato in una specie di cornice/prologo che si finge l’opera principale (quando ne è la (pur fondamentale) introduzione) mi ha ricordato il Perturbamento di Bernhardt (altro autore che indubbiamente ha letto Dostoevskij), come anche i lunghi monologhi e le pagine senza capoverso. Ma il nome più scontato (almeno per quanto riguarda la prima parte, la meno narrativa) che mi viene in mente è il Poe del Demone della perversione. Di questo parla l’uomo del sottosuolo, anche se il racconto che segue (bellissimo fin dal titolo: “A proposito della neve bagnata”) narra anche di molto altro, ricordandomi anche i racconti di Gogol’ (Il cappotto?) e in generale quell’ambientazione sovieticoburocratica che mi pare tanto aliena quanto incredibilmente contemporanea (le logiche da ufficio, le incomprensioni e le ambiguità coi colleghi, gli orari, i pagamenti, le diverse classi sociali).
Finito il gioco delle citazioni e controcitazioni, ciò che mi rimane di questo libro è il suo luogo più affascinante: non gli uffici, le strade buie, i locali, la Prospettiva Nevskij, ma il sottosuolo. Mi piace vedere il sottosuolo come quegli spazi reconditi e oscuri dello spazio interno, antri che fanno ancora paura perché da lì si ha paura di non tornare mai più. Questo spazio non si trova fra le persone, nella società, nelle sue costruzioni, ma nei loro riflessi, non necessariamente tetri, ma molto spesso inaccettabili. E proprio per questo il sottosuolo è l’unico luogo ancora interessante e difficile da esplorare.
«Abbiate pazienza, – vi grideranno, – rivoltarsi è impossibile; è come due per due fa quattro! La natura non vi consulta; non gliene importa nulla dei vostri desideri e se vi piacciano o non vi piacciano le sue leggi. Siete obbligato ad accettarla così com’è, e per conseguenza anche ad accettare tutti i suoi risultati. Una muraglia, per conseguenza, è una muraglia… ecc. ecc.». Signore Iddio, ma che me ne importa delle leggi naturali e dell’aritmetica quando per qualche ragione queste leggi e il due per due non mi piacciono? S’intende che questa muraglia non la sfonderò col capo, se davvero non avrò la forza di sfondarla, ma nemmeno l’accetterò, solamente perché ho una muraglia davanti e le forze non mi sono bastate.