Il libro di sabbia (ultima raccolta del vecchio Borges) pubblicato in Italia contiene anche gli ultimi racconti di Borges, ma soprattutto contiene una serie di racconti fantastici che non hanno nulla da invidiare alle più famose raccolte della maturità (Finzioni e L’Aleph).
Il racconto omonimo è una Biblioteca di Babele racchiusa in un libro, L’altro e Venticinque agosto 1983 sono due onirici e impietosi confronti con se stesso, ma è soprattutto l’Utopia di un uomo che è stanco a farmi innamorare di questo libro.
Qualche lacrima la lascio anche per There are more things, riuscito esercizio di stile lovecraftiano del senile Borges che ha ancora voglia di giocare. E per le tigri azzurre che mi ricordano tanto l’ultima opera di Turoni, vista proprio in questi giorni, coincidenza a cui Borges non avrebbe creduto.
Da citare anche Il parlamento, il racconto più ambizioso della raccolta, a detta dello stesso autore; l’espressione di una vitalità e di una visione incredibile per il vecchietto che stringeva la penna per vergare quelle parole. In questa immagine della senilità, mi sembra di accomunare Borges a Saramago, sarà forse anche per la lingua latina e l’ironia mai sopita.
Ma soprattutto i racconti, le parole di Borges mostrano con una semplicità e concisione sovrannaturale le infinite possibilità della letteratura, del segno sulla pagina bianca, della realtà nascosta lì dietro e mostrata in filigrana attraverso parole dette e suggerite.
Nota di pregio anche per l’edizione Adelphi, che riporta ben due note al testo, ma alla fine del libro e non all’inizio, come nelle (da me) odiate prefazioni. Lo stesso Borges scrive esplicitamente al termine del proprio Libro di sabbia dell’impossibilità delle prefazioni e della preferenza per gli epiloghi.
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