Avendo assodato che anche i più grandi scrittori/lettori prendevano appunti per ricordarsi dei libri letti, sono giunto alla conclusioni di poter fare altrettanto anch’io. Scrivere recensioni o presunte tali è sempre stato un equivoco suggerito da social network, blog e quant’altro, visto che si possono scrivere semplici commenti, non necessariamente critici né indirizzati ad altri che allo scrittore stesso (come un po’ tutta la letteratura, mi viene da dire). Rimane il dubbio di come commentare libri già sviscerati ovunque da chiunque, cosa aggiungere al mare magnum di parole accumulate, già più voluminose dei libri stessi che si prefiggono di valutare? La valutazione d’altronde è un’altra stortura/stonatura alla quale non mi voglio prestare. Ripenso spesso alla questione durante i miei tragitti in metro da lavoratore pendolare (attraversare Berlino richiede circa 30-40′ a tratta, cinque giorni la settimana). Questi stessi tragitti si stanno rivelando tra l’altro propedeutici a un ritmo di letture più elevato del solito, andando a scandirlo con insolita regolarità. Divorando una quantità di pagine superiore alla (mia attuale) norma, macino anche le letture più disparate, spesso parallelizzando anche forme e formati diversi.
In questo momento ad esempio, alterno la mia attenzione fra “Guerra e pace” e Topolino (a 30 anni ho finalmente realizzato il sogno fanciullesco dell’abbonamento annuale, piccolo grande regalo che mi darà un motivo in più per ricordarmi di questo anno (quando?)), passando per “Fine Millennio: istruzioni per l’uso”, del sempiterno J.G. Ballard. Titolo accattivante (e azzeccato) a parte, questa raccolta di scritti giornalistici e brevissimi saggi conferma l’idea di un Ballard grande osservatore e rivela anche una sua vena sarcastica degna di nota. Spesso si tratta di recensioni o presunte tali, apparse su Vogue, Guardian, Daily Telegraph o su altre riviste come New Worlds o persino sul New York Times, ma ancora più spesso il libro (o il film, o il quadro) di partenza sono solo un pretesto per le riflessioni più disparate del nostro: sulla contemporaneità, sullo stato di salute della letteratura, sul futuro dell’essere umano e della fantascienza stessa. Raramente Ballard si sofferma sullo stile o sulla forma di ciò che legge, almeno per quanto riguarda tecnicismi vari, additando più volte con fare dispregiativo gli scrittori di carriera. Ciò che gli interessa evidentemente viene un attimo prima (o dopo, a seconda dei punti di vista). In fin dei conti una delle sue preferenze, esplicitata in più punti, è la cosiddetta letteratura invisibile (quanta ne avrebbe a disposizione al giorno d’oggi!), di cui fa però una lettura critica e non passiva, con il piglio di un antropologo estremamente immaginifico. Da questa intersezione di biografie, capolavori della letteratura e del cinema, storia e scorci della allora (si parla spesso di 20-30 o anche 50 anni fa, ma quello che conta è: pre-internet) vita moderna, derivano i pensieri di quello che non poteva non essere un maestro della fantascienza dello “spazio interno” (come lo chiama lui). Attraverso questi microsaggi, oltre alla (inattesa, almeno in questa misura) vena ironica e satirica dell’autore, scopro stralci della sua stessa biografia, a cui sono dedicati dei pezzi, o della sua vita (guai a chiamarla carriera) editoriale. Interessante il brano del ’62 dove anticipa uno dei suoi futuri racconti, con una specie di dichiarazione d’intenti: “se vi sembra astratto e anticonformista, tanto meglio, perché la fantascienza dovrà usare una forte dose di sperimentalismo; e se vi suona noioso, bene, almeno sarà una noia di tipo diverso”. Come anche quello dove si riferisce al controverso Atrocity Exhibition e alla sua difficile pubblicazione in America (in un altro pezzo profetico, su Ralph Nader, ma soprattutto sulle paranoie e i sensi di colpa moderni, legati al cibo e non) e ricorda: “invano ho protestato, dicendo che chiunque faccia vita pubblica e cerchi di coinvolgerci nelle sue fantasie non si può lamentare se qualcuno lo coinvolge nelle sue”.
Un altro esempio affascinante della fervida immaginazione di Ballard è dato dal pezzo col quale, nel 1977, preconizza la vita quotidiana composta di riprese e registrazioni inarrestabili e conseguenti finzioni imposte dalla revisione sociale e automatizzata della nostra apparenza. E così “alla sera ci siederemo comodamente per passare in rassegna il girato giornaliero, selezionato da un computer che ha scelto per noi solo il nostro profilo migliore, i nostri dialoghi più brillanti, le nostre espressioni preferite filmate con i filtri più favorevoli, e ha montato il tutto in una reinterpretazione nobilitata della giornata”.
Ho fatto innumerevoli orecchie a questo libro (non mi piace sottolineare) denso di spunti, idee e stimoli (mi è tornata/venuta la voglia di recuperare i pittori surrealisti (che già adoro), i romanzi sperimentali di Burroughs (mai avvicinati prima per timore reverenziale/sacrale/bac) o semplicemente i pochi romanzi dello stesso Ballard che ancora mi mancano). Lo stimolo maggiore però deriva proprio dall’insolito punto di vista (condivisibile o meno) di chi non si ferma davanti a niente e commenta senza pudore l’intera realtà che lo circonda, se stesso compreso, sempre alla ricerca di un nuovo pertugio neurotemporale da esplorare. L’esempio estremo della visione ballardiana e del suo commento antropologico/artistico è l’elenco quasi conclusivo chiamato “Progetto per un glossario del XX Secolo”.
Questo tipo di approccio alla recensione (nel senso più ampio possibile di commento), in cui il testo di partenza è tutt’altro che centrale (e quando lo è viene fagocitato in una riappropriazione delle informazioni/narrazioni in esso contenute) e la riflessione scaturente si rivela tanto personale quanto esiziale, poteva essere forse eccentrico nella seconda metà dello scorso secolo, ma per quanto mi riguarda è l’unico possibile in un’epoca di catalogazione assoluta, dove chiunque sente la necessità di esprimere il proprio giudizio e ripetere parole e frasi standardizzate, in una pratica rituale ridondante e atrofizzata, alla ricerca di un’elevazione che non avviene proprio per via della sua diffusione. Lasciando la critica letteraria agli studiosi competenti, il testo (o qualunque altro oggetto artistico) non può che essere il mero punto di partenza, di cui appuntare non tanto la sua valutazione quanto le sue conseguenze sulla mente e la sua intersecazione con la realtà, quotidiana e non, del lettore.