Un’idea che ho da un po’ è che mi sembra di vivere in un dopoguerra qualsiasi, ma senza che ci sia stata la guerra. Non ci sono macerie fisiche, ma luoghi (della mente e non) abbandonati, lasciati alla devastazione del tempo. È una cosa che razionalmente non so neanche spiegare più di tanto, ma che ogni tanto trova anche qualche conferma (oltre a quella dei cicli del capitalismo, ineluttabili come l’imbecillità umana).
Una di queste conferme l’ho avuta leggendo i 100 articoli di Orwell per l’Observer, scritti fra il 1942 e il 1949. È da un po’ che preferisco l’Orwell saggista a quello narratore e qui preferisco il reporter/giornalista al critico letterario.
Orwell vaga coi suoi baffetti per l’Europa ridotta in macerie e analizza molto lucidamente gli anni passati e quelli a venire, ancora prima che termini ufficialmente la guerra. Colpisce leggere passi che sembrano scritti negli ultimi cinque anni, dove si parla di generazioni perdute, di lavoro automatizzato e relative prospettive, di liberalismo che diventa oligarchia di pochi ricchi sempre più ricchi, di popolazioni disposte a fare sacrifici, basta che siano per tutti: «Tagliate pure fino all’osso, ma tagliate fino all’osso per TUTTI». Discorsi già sentiti, credo.
C’è un passaggio però, del 1944(!), che riassume questo parallelismo in poche, incredibili righe:
La carneficina di massa che ha avuto luogo negli ultimi dieci o quindici anni forse non significa molto. Alla fine vuol dire solo che abbiamo armi più potenti rispetto ai nostri antenati. I fenomeni davvero sinistri del nostro tempo sono l’atomizzazione del mondo; la crescita di potere del nazionalismo; la venerazione per i capi, a cui vengono attribuiti poteri divini; l’annullamento, non solo della libertà di pensiero, ma anche del concetto di verità oggettiva; la tendenza a un governo oligarchico basato sulla schiavitù del lavoro. È questa la direzione in cui il mondo sta cambiando, ed è l’assenza di una discussione su tali temi che rende questo libro difficile da prendere sul serio.
Sostituirei solo il libro in questione con la discussione politica odierna, per il resto non ho altro da aggiungere a quanto scrisse Orwell (diciamo pur una mente aperta e lungimirante) più di 70 anni fa.
Trovo solo una differenza sostanziale: forse per l’assenza di morti (visibili almeno), mi sembra manchi la consapevolezza di questo dopoguerra. Forse anche per la condizione di crisi permanente, senza apparente via di uscita come non si capisce bene qual è stata la porta d’accesso, non si combatte al fronte, ma non si guarda neanche a un futuro prossimo, non c’è spinta alla ricostruzione, non c’è presa di coscienza, non c’è altro che un presente troppo difficile da assimilare e che sembra scivolare in una direzione incomprensibile e ineluttabile.
Dov’è la nostra Trümmerliteratur?