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Vedo strade deserte

Davanti a me vedo strade deserte. Vedo un mercato morente. Vedo i giovani mastini in cerca di preda. E io sto alla macchina da scrivere. Sono vecchio, ma ancora in salute. Ho i pensieri pi# chiari che mai. Sono all’apice della potenza creativa. Ho il pieno controllo del mio testo. Scrivo narrativa catastrofica e non scrivo per il mercato, per piazzare una sveltina o per professionalità o per vedere il mio nome su una copertina. Scrivo per i sopravvissuti, in modo che sappiano a cosa sono sopravvissuti. Scrivo, per così dire, per i posteri, in modo che possano rendersi conto di cosa è andato storto e resistano all’imperativo storico di giudicarci con troppa durezza. Davanti a me vedo passati di pomodoro e cracker salati.

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Hamburg

Hamburg è la seconda città più grande della Germania, nonché la città non-capitale più popolosa dell’Unione Europea [almeno secondo wikipedia]. È anche una delle città più colpite dai bombardamenti alleati durante la seconda guerra mondiale, che assieme a quelli di Dresda e Tokyo (e ovviamente a quelli nucleari) “rappresentano il più alto livello distruttivo mai sperimentato dalle armi” [sempre via wiki].
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Sono tutti alla ricerca

Sono tutti alla ricerca, sai. Stanno tutti cercando di arrivare alla fine del viaggio. Ma cercano nel modo sbagliato. Cercano la privacy sbagliata, quella antica, quella che non si ritroverà mai più. Senti questa notizia: c’è un vecchio di settant’anni che vuole salpare da Capo Hatteras in direzione dell’Inghilterra su una barca a remi di tre metri. A quanto pare, vuole praticare lo yoga in mare aperto. E senti quest’altra: casalinga di Bloomington vuole arrivare dal Minnesota all’Australia. Evidentemente ha dei parenti in Australia. È quello il motivo ufficiale del viaggio. Ma sappiamo tutti e due qual è il motivo vero. Una comitiva di metodisti di Pittsburgh parte il mese prossimo alla volta del Deserto del Sinai con l’intenzione di pregare e digiunare per quaranta giorni e quaranta notti. Dicono che il loro vescovo ha insistito perché portassero con sé altre razioni di cibo a parte l’acqua, ma finora la comitiva ha rifiutato. Donna di sessantadue anni vuole fare il giro del mondo su un monoelica. E poi qui un norvegese che si è chiuso per ducentodue ore in una teca di vetro sul terrazzo di casa, superando il primato mondiale di trenta e rotte ore. Sappiamo benissimo tutti e due che di battere il primato non gliene importava niente. Un uomo in Missouri ha vissuto centosessantuno giorni in una caverna. Nel Missouri c’è grande abbondanza di caverne. Mangiava pietanze in scatola, beveva acqua. Ha consumato più di novecento candele. Ha detto che per la prima volta in vita sua non si è annoiato.

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Da bambino

Da bambino volevo anche studiare. Mi piacevano le persone con i libri per le mani, gli ambienti silenziosi, i ritmi che prendono gli uomini di cultura. I vecchi. Più o meno.

Da bambino mi piaceva un sacco di roba che adesso non mi va più. Questo l’ho capito, mia madre ad esempio no, che continua a cucinarmi le uova all’occhio di bue.
Mi piaceva da matti viaggiare in treno. Osservare e divorare ogni immagine fuori dal finestrino, al di là del vetro. Sentire discorsi di sconosciuti standosene in disparte. Persa la pazienza di sopportare disagi e incontri casuali. Persa la pazienza per questi viaggi, ho iniziato ad apprezzare la guida e l’asfalto. Poi, anche quella è andata. Finita.
Mi piaceva passeggiare di notte, o la domenica pomeriggio. Rimanere assolutamente solo, sia nel buio che tra la folla domenicale. Isolarmi e pensare ad ogni cosa che non fosse il presente. Progetti. Ora ogni pensiero appesantisce, ogni via nasconde insidie e spaventi.

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Un aggettivo semplicissimo

Ho già sentito parlare il vescovo più di una volta, annoiandomi regolarmente: e per me non c’è di peggio che la noia. Ora poi, sentendo la sua voce attraverso l’altoparlante, mi venne di colpo l’aggettivo che avevo sempre cercato. Sapevo ch’era un aggettivo semplicissimo, l’avevo avuto più volte sulla punta della lingua, ma m’era sempre sfuggito. Al vescovo piace dare alla voce quell’inflessione dialettale che rende una voce popolare: ma il vescovo non è popolare. Il vocabolario delle sue prediche sembra attinto a un prontuario di pie frasi fatte, che da una quarantina d’anni a questa parte vanno perdendo a poco a poco ma costantemente ogni forza persuasiva. Frasi fatte che son diventate un puro rimbombo di parole, mezze verità. La verità non è noiosa, ma il vescovo ha evidentemente il dono di farla sembrar tale.
“…includere Dio nella nostra vita di ogni giorno…elevargli una torre nel nostro cuore…”
Per alcuni minuti ascoltai oltre lo squallido marciapiede della stazione, quella voce inquinata da una traccia troppo marcata di dialetto, e vidi al tempo stesso quell’uomo dalle vesti paonazze che parlava davanti al microfono, e di colpo trovai la parola che avevo cercato per anni, ma che era troppo ovvia per venirmi in mente: il vescovo era sciocco.

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Esistono solo aspettative

Il nocciolo della faccenda, un’espressione che mi ha sempre irritato, insieme a è tutta questione di e non per dire niente ma, il nocciolo della faccenda è che ti sei sempre sentito in colpa per esserti concentrato sulla tua vita, hai sempre pensato che la distanza tra noi, dai tuoi genitori, una distanza spaziale, temporale o emotiva, fosse una cosa brutta, vergognosa, da coprire, un sintomo del tuo fallimento come figlio. Be’, lascia che ti riveli una cosa, è tutto un fallimento, abbiamo tutti fallito, come figli, come padri, come madri, come fratelli. È una verità necessaria. Non esistono regole ma ce ne sentiamo vincolati, non esistono doveri da assolvere, esistono solo aspettative, inarticolate e arbitrarie e amorfe e cangianti, aspettative simili a manciate di gelatina che tentiamo di puntellare alle pareti di casa e si ostinano a scivolare a terra e a sciogliersi e a fermentare e a trasformarsi in senso di colpa e altro ancora.

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L’assurdo

Ho vissuto molto più a lungo di quanto ritenga necessario secondo le regole del buon gusto e dell’etichetta, solo per arrivare a questo punto, in questo posto, a questa verità: la costruzione di un enunciato assurdo richiede una comprensione delle strutture ubique e inerenti del significato molto maggiore di quella impiegata per formulare la più semplice e banale delle affermazioni e, una volta pronunciato, il più nitido e chiaro dei capolavori dell’assurdo non fa che sottolineare l’incapacità degli altri di capire qualunque cosa.

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Questa favola non ha morale

Parlando in senso stretto, e a me piace parlare in senso stretto, in questo mondo non esistono affermazioni ma soltanto frasi, isolate dal mondo reale dalle loro iniziali e dal punto fermo, o da quello interrogativo, o semplicemente dal fatto che prima o poi finiscono, impermeabili a qualsiasi scambio reale tra i cosiddetti parlanti. Molto zen da parte mia, infatti, in-fatti. Resta con me, figlio, questa favola non ha morale.

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