Il nostro punto di partenza è sempre lo stesso, non sappiamo mai niente di niente, non c’è niente di cui abbiamo un’idea sia pur minima, così diceva, pensai. Non appena esaminiamo un argomento qualsiasi, rischiamo di soffocare nell’enorme quantità di materiale che in ogni campo è a nostra disposizione, la verità è questa, così diceva, pensai. E pur sapendo tutto ciò, riesaminiamo continuamente da capo i nostri cosiddetti problemi intellettuali e ci lasciamo sedurre da un’idea impossibile: creare un prodotto intellettuale. Questa sì che è follia! così lui, pensai. Fondamentalmente siamo capaci di qualsiasi cosa, e altrettanto fondamentalmente siamo destinati a fallire in ogni cosa, così diceva, pensai.
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Il soccombente
Io, col naso pieno di muco e la gola infiammata e spalancata nel giorno più caldo, l’unico, dell’estate tedesca, mi addormento stravaccato sulla sedia di vimini del terrazzo, con le braccia a stringere il libro di Bernhard in grembo.
Il soccombente sono io.
Odio essere (anche solo minimamente) malato.
Cognizione
Perlopiù quelli che suonano il pianoforte, anche se celeberrimi, non sanno nulla della propria arte, disse. È vero, dissi io, ma questo succede anche in tutti gli altri campi dell’arte, è esattamente così nella pittura, nella letteratura, dissi, e nemmeno i filosofi hanno cognizione di cosa sia la filosofia. Gli artisti non hanno quasi mai cognizione della propria arte.
Wallraff e Jobbörse
Leggere le inchieste di Günter Wallraff la stessa settimana in cui mi sono iscritto a Jobbörse (più relativo, inutilissimo, colloquio all’Agentur für Arbeit) non dà molta fiducia nel futuro prossimo.
La soluzione è sempre la stessa: non pensarci.
(o anche ammalarsi nel fine settimana, in modo da avere altre cose da maledire)
XXI secolo – qualche pensiero sparso
Credo sia la prima volta che mi capita di leggere “in diretta” un libro candidato allo Strega (e forse anche a qualunque altro premio, ma non ci giurerei). Non per snobismo o altro, è capitato così.
E anche stavolta, avevo XXI secolo in wishlist da tempo, poi sul comodino da ancora più tempo, e infine l’ho letto.
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Starbucks senza filtri
«Noi collaboratori ci chiamiamo “partner”» si legge nel mission statement della catena di caffetterie Starbucks. Howard Schultz, miliardario, cofondatore della multinazionale e suo azionista di maggioranza, o chi si occupa di comunicazione nella sua azienda, continua in preda all’entusiasmo: «Perché non è solo un impiego, è la nostra passione. Siamo felici di accogliere la pluralità tra di noi e di creare un ambiente di lavoro in cui ciascuno può essere quello che effettivamente è. Ci comportiamo sempre con rispetto e dignità reciproci e consideriamo questi standard elevati un nostro dovere».
Ogni dipendente di Starbucks conosce il mission statement, che occupa una sola pagina e viene affisso in tutte le filiali del gruppo. Iris trova particolarmente irritante la frase sui «partner», cioè su di lei e i suoi colleghi. E io posso capirne il motivo, mentre in una calda giornata d’estate mi racconta ancora una volta cosa significhi lavorare presso il più grande distributore di caffè del mondo.
XXI secolo
Presto un fumo nero coprì tutto il parcheggio, e il vento tignoso che s’era alzato lo spinse verso l’albergo. In pochi minuti tutti i piani vennero inghiottiti nella coltre. E sopra, a milioni di chilometri, Marte, Venere, Giove gonfio di gas, i gemelli Urano e Nettuno, quella carretta di Plutone, bui e inermi procedevano in silenzio come macchine in folle. Nel sistema solare il brusio incessante della Terra era un’eccezione, una stravaganza, il prodotto di scarto di un’escrescenza del carbonio alla quale gli uomini avevano dato il nome di vita. Era quello che fregava gli umani: la tendenza a dare un significato alle cose.
Televisione
Oggi, dopo tre giorni in una casa con una televisione, me ne sono ricordato e l’ho accesa.
Dopo televendite, pubblicità, sigle infinite, dibattiti di gente che urla di prima mattina, film tv di qualche decennio fa, sono finito inspiegabilmente a guardare la Merkel su ZDF.
Poi per fortuna su Italia1 c’era Dragon Ball. Quella puntata strappalacrime del robot.
Victoria – quasi una rece
Ieri ho visto Victoria al cinema, dopo averlo “perso” alla Berlinale di quest’anno.
Film a metà fra il generazionale, fra immigrati sudeuropei a Berlino e le gang di True Berliners (vedi anche Als wir träumten, sempre dalla selezione ufficiale della Berlinale 2015), e il noir, con tanto di rapina alla banca. Il film è proprio spaccato a metà fra questi due eventi/mood, ma ho un sacco di considerazioni da fare (che non c’entrano troppo con la trama).
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Cose che succedono
Ah, e poi ieri ho perso il cellulare a una grande festa culinaria multietnica, e poi l’ho ritrovato.
Giusto per dire.