I: dove Lebezjatnikov parla di progresso ma Pëtr Petrovič pensa ad altro
II: dove Katerina Ivanovna litiga con tutti al banchetto commemorativo per il marito defunto
III: dove Pëtr Petrovič accusa Sonja di avergli rubato cento rubli
IV: dove sia Sonja che Raskol’nikov hanno le lacrime agli occhi
V: dove Katerina Ivanovna inizia e finisce di delirare
libri
Delitto e castigo: parte quarta
I: dove Svidrigajlov sostiene che i malati sono gli unici a poter vedere i fantasmi, in quanto a metà fra i due mondi
II: dove Pëtr Petrovič Lužin prima di andarsene vorrebbe dire ancora una cosa
III: dove Razumichin e Raskol’nikov si fissano per un minuto intero
IV: dove Raskol’nikov si inginocchia davanti a tutta la sofferenza umana
V: dove Porfirij Petrovič gioca al gatto col topo con Raskol’nikov
VI: dove Raskol’nikov improvvisamente in cuor suo sente quasi una sensazione di felicità
Delitto e castigo: parte terza
I: dove Razumichin espone la sua teoria su verità e menzogna, e Avdot’ja Romanovna cammina avanti e indietro
II: dove Razumichin legge la lettera di Pëtr Petrovič Lužin
III: dove Raskol’nikov capisce che non potrà più parlare del tutto con nessuno
IV: dove uno sconosciuto segue Sof’ja Semënovna Marmeladova, detta Sonja
V: dove Raskol’nikov e Porfirij Petrovič disquisiscono sugli uomini ordinari e straordinari
VI: dove uno sconosciuto, forse un artigiano, dà dell’assassino a Raskol’nikov
Delitto e castigo: parte seconda
I: dove Raskol’nikov viene convocato dalla polizia
II: dove Raskol’nikov va a trovare Razumichin
III: dove Raskol’nikov continua a guardarsi attorno agitato e sconvolto
IV: dove Razumichin fa una ricostruzione molto acuta, forse troppo
V: dove Pëtr Petrovič Lužin illustra i pregi dell’individualismo capitalista
VI: dove Raskol’nikov torna sulla scena del delitto
VII: dove Marmeladov chiede un sacerdote
Delitto e Castigo: parte prima
Stesso gioco mnemonico-letterario di Guerra e pace, un titolo per ogni capitolo.
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Così parlò Zarathustra
Se costoro – avessero il pane per nulla, guai! Contro che cosa leverebbero costoro le loro strida! Il loro sostenatamento – questo è per loro il vero intrattenimento; e devono procurarselo con difficoltà!
Belve feroci sono: nel loro “lavorare” – è anche un depredare; nel loro “guadagnare” – è anche un frodare! Perciò devono procurarselo con difficoltà!
Debbono diventare migliori belve feroci, più raffinate e intelligenti, più simili all’uomo: l’uomo infatti è la miglior belva feroce.
L’uomo ha già predato le sue virtù a tutte le bestie: questo, perché l’uomo ha avuto la più difficile delle esistenze.
Restano solo gli uccelli al di sopra di lui. E se l’uomo imparasse anche a volare, guai! fin dove – volerebbe la sua bramosia rapace!
Non ve ne siete accorti
Voi ragazzi, disse, e ancora una volta provai una doppia fitta di complimento e di offesa, siete adorabili. Volete tutti essere il protagonista del film che fugge al rallentatore dalla fabbrica del cattivo che ha appena minato, e si getta a terra mentre esplode. Ma l’esplosione è gi in atto: è sempre stata in atto. Solo che voi non ve ne siete accorti…
La barzelletta più lunga
Di sicuro, ogni incarico a cui la Società lavorava, ogni discorso imbonitorio che facevamo, implicava un’invocazione al Futuro, o una genuflessione: vincevamo i contratti spiegando che i social network sarebbero diventati la nuova stampa d’élite, le periferie il nuovo centro della città, e che le economie emergenti avrebbero saltato a piè pari l’analogico per entrare dritte nella fase postdigitale – cioè, usando il Futuro per conferire un bollo di verità a quegli scenari e a quelle affermazioni, rendendole assolute e oggettive grazie al semplice fatto di collocarle nel Futuro. Tutto, come diceva Peyman, sarà anche un’opera di fantasia: ma il Futuro è la barzelletta più lunga e insensata di tutte.
La tribù moderna
Dimentichiamoci della famiglia o dei raggruppamenti etnici e religiosi: le aziende le hanno soppiantate tutte come struttura primaria della tribù moderna. Il mio utilizzo della parola “tribù” in questo caso non è velleitario; è la parola “moderna” a essere equivoca, piuttosto. La logica che sottende l’azienda è del tutto primitiva. L’azienda ha le sue divinità, i suoi feticci, i suoi gan sacerdoti ei suoi paria (…). Ha i suoi rituali, le sue credenze e le sue superstizioni, il suo potenziale di competenze e abilità spicciole e, al contrario, i suoi Ignoti e i suoi Inespressi.
Il cursore ci ha raggiunto
Abbiamo bisogno di esperienza per restare in vantaggio, anche solo di misura, sulla nostra consapevolezza dell’esperienza – se non altro perché la seconda deve ricavare un sinificato dalla prima, per narrarle (…) sia agli altri che a noi, e, per questo, ha bisogno di essere alimentata da una fornitura costante di nuovi fatti e sensazioni. Ma quando il cursore narrativo raggiunge quello dell’interpretazione, quando gli avvenimenti e le situazioni non si reintegrano abbastanza in fretta per la coscienza che sostengono, quando, per quanto velocemente si rigenerino, vengono divorati all’istante da una bocca troppo vorace da permettere a qualsiasi cosa di depositarsi o accumularsi intatto al suo cospetto, allora ci troviamo inceppati, bloccati nel limbo: non possiamo godere né dell’esperienza né della sua consapevolezza.