Colpito da un flusso di informazioni costanti, alla ricerca di nuovi canali percettivi per poterne assorbire ancora di più, mi trovo spesso a dimenticare ciò che mi passa sotto gli occhi, nelle orecchie, per qualche millesimo di secondi fra le sinapsi del cervello. Nel disperato tentativo di dare senso a quelle brevi scariche elettriche (ammesso che sia possibile), ho bisogno di ricordare, archiviare, catalogare, per potere poi costruire nuovi ponti/mondi/connessioni neurali.
Bando alle ciance:
Entertainment – Rick Alverson/Gregg Turkington 2015
Parabola del fallimento costante, antipatico, indisponente. Cosa fare quando tutto è sbagliato?
Mi ricorda il finale fantastico di un libro meno fantastico di Dick:
Guaritore galattico – Philip K. Dick 1969
Dopo aver abbandonato la propria grigia vita quotidiana in favore di un essere quasi onnipotente, dopo averlo quasi ucciso e donato la propria energia vitale invece per salvarlo e permettergli di compiere la propria impresa ancestrale a discapito di una profezia autoavverante, dopo aver sfiorato una relazione finalmente soddisfacente e il significato della vita tutta, il protagonista-restauratore-di-vasi (non troppo simpatico, come molti protagonisti dickiani) viene illuminato da una frase: anziché riparare i vasi altrui, perché non costruisci il tuo?
Quella che potrebbe essere una bella/facile frase motivazionale per concludere il libro nelle mani di Dick si trasforma in un finale definitivo:
Il suo primo vaso. Lo portò al banco, sotto la luce diretta, lo posò e gli diede una lunga occhiata. Valutò professionalmente il valore artistico della sua opera. Valutò ciò che aveva fatto, e ciò che avrebbe fatto, come sarebbero stati in seguito i vasi. Le sue opere future gli si profilavano dinanzi. Quella in un certo senso era la sua giustificazione per aver abbandonato Glimmung e tutti gli altri. Mali, soprattutto. Mali, che lui amava.
Il vaso era orribile.
Allo stesso modo lo stand-up-comedian di Alverson/Turkingston fa schifo, sia come comico che come essere umano. C’è una soluzione possibile/accettabile? No.
Annie Hall – Woody Allen 1977
La comicità indolente di Allen mi piace, le sue commedie sono sempre godibili (a volte geniali), ma non è solo questo.
I primi minuti di Annie Hall sono questo:
There’s an old joke – um… two elderly women are at a Catskill mountain resort, and one of ’em says, “Boy, the food at this place is really terrible.” The other one says, “Yeah, I know; and such small portions.” Well, that’s essentially how I feel about life – full of loneliness, and misery, and suffering, and unhappiness, and it’s all over much too quickly. The… the other important joke, for me, is one that’s usually attributed to Groucho Marx; but, I think it appears originally in Freud’s “Wit and Its Relation to the Unconscious,” and it goes like this – I’m paraphrasing – um, “I would never want to belong to any club that would have someone like me for a member.”
Rapporto con l’altro sesso a parte, la descrizione di Allen bambino è la mia.
Jim & Andy – The great beyond – Chris Smith 2017
Bello sia il materiale d’archivio di The man on the moon che il breve recap sulla vita&carriera di Jim Carrey, che cambia dopo quell’accoppiata di film che sono The Truman Show e The man on the moon, appunto. Un po’ spaesato, senza appigli metafisici, Jim ripiega su se stesso e sulla sua barba da santone.
Rivisto per l’occasione
The Truman Show – Peter Weir 1998
e mi sono accorto di come questo film abbia preceduto Matrix di un anno. Mi chiedo come mai non abbia avuto lo stesso impatto nell’immaginario comune (a me colpì molto, ma evidentemente non abbastanza). Da notare come anche questo sia tratto da un libro del solito Dick, forgiatore della nostra realtà in un paradossale loop retroattivo che immagino gli sarebbe piaciuto anche.
Il castello – Parenti/D’Anolfi 2011
(disponibile su Rai Replay o come si chiama)
L’aeroporto di Malpensa come laboratorio per sistemi di sicurezza più o meno invasivi da applicare al resto del mondo. Scelte estetiche e curiosità a parte, la violenza verbale e non delle divise aiuta a empatizzare per quelle che d’altronde sono soltanto le vittime: di cartelli malavitosi, di poliziotti tanto arroganti quanto ignoranti (incredibile come queste due caratteristiche vadano sempre assieme), di un sistema tutto che non lascia scampo.
Ulver – live Festsaal Kreuzberg 25.11.2017
Per la prima volta con un supporter di mio gradimento, tanto che poi rimane come chitarrista del gruppo per tutta la durata del concerto: Stian Westerhus, da approfondire.
Ulver in formazione più rock che elettronica riprendono l’intero ultimo album (come per i tour precedenti), con carica, laser e soluzioni visive interessanti per un piccolo club come la Festsaal Kreuzberg. Alla fine anche interminabile impro electro-rock sulla coda di Coming Home.
Unico bis la cover di The power of love dei Frankie goes to Hollywood, che ci sta, ma mi è mancata una bella Hallways of always.
L’ultimo rifugio – Imre Kertész 2016
Appena iniziato, ma già alla seconda pagina ci siamo:
Ma la domanda resta: se il potere è totalitario e l’adeguamento a esso è totale, a uso di chi rappresentiamo l’uomo dominato dalla totalitàà? Più precisamente, perché rappresentiamo in termini negativi l’uomo dominato dalla totalità per conto di una entità misteriosa che rimarrebbe al di fuori della totalità e giudicherebbe; anzi – trattandosi di un romanzo – proverebbe piacere e imparerebbe anche qualcosa dall’opera; di più: svolgerebbe attività critica, trarrebbe le conclusioni estetiche che ne conseguono in merito alle opere future? L’assurdità si cela nel fatto che da quando Dio è morto non esiste uno sguardo oggettivo, siamo sospesi nella condizione del panta rei, non abbiamo appigli, eppure scriviamo come se ne avessimo ovvero come se, nonostante tutto, esistesse il punto di vista sub specie aeternitatis, il punto di vista divino o dell’eterno umano; dove si cela la soluzione di questo paradosso?