Berlinale 68 – parte 1
Figlia mia – Laura Bispuri (Competition)
La storia è presto detta: in una Sardegna rurale e anacronisticamente contemporanea, una figlia è contesa fra la madre naturale (disagiata) e quella adottiva (dalla mentalità -ma non capacità economica- più borghese). Finirà per uscire vincitrice dalla disputa, per superare gli schemi mentali di entrambe.
L’allegoria femminista (molto up to date) mi piace, ma ci sono diverse cose nella sua realizzazione che non mi convincono a pieno, per lo più per gusto personale probabilmente. Il paesaggio sardo*, arido e respingente, riflette quello umano di una realtà quotidiana piccola e rurale. I personaggi principali sono annegati in una polvere e povertà che appare quasi anacronistica, abbandonati da una contemporaneità che non tange minimamente il film (se non in un paio di scene – e questa è una delle cose che mi fa dire Peccato!), ma il registro realistico a questo punto mi sembra cozzare con l’allegoria quasi favolistica e fuori dal tempo. Sia i rapporti fra le tre protagoniste che l’assenza o quasi di personaggi secondari (compreso il padre, inesistente) e di interazioni con essi (se non funzionali al trittico femminile) mi sembra confermare l’idea simbolica del film, che però allo stesso tempo mi sembra non riuscire a lasciare quel registro sporco e dimesso del film intimo/realistico.
* A questo proposito, finale molto bello e riuscito con la bambina che infine si immerge di propria volontà (e a fatica) nel buco che sembra dover diventare la sua tomba, per poi riemergerne cambiata, superando finalmente le mentalità dell’una e dell’altra madre, pronta a guidarle entrambe verso un futuro diverso(?).
Dovlatov – Alexey German Jr (Competition)
Dovlatov (il film) segue sei giorni della vita di Dovlatov (lo scrittore, che a questo punto voglio recuperare) e dei suoi amici/colleghi/sodali. Il giovane scrittore si scontra con la censura e la burocrazia sovietica, si confronta con gli amici e colleghi in appartamenti straripanti di scrittori e poeti non pubblicati, vaga per i meandri di una Russia che non vuole ascoltare la sua voce. Scambia tante parole con Brodsky (anch’egli giovane e pronto a emigrare) quante con la ex moglie, sogna scrittori del passato, intervista operai del presente, in un continuo rimando di citazioni, di battute argute e letterarie. Risponde con un’ironia rassegnata (ma anche molto precisa e leggera) alla realtà sovietica che gli preclude il resto del mondo, mentre attorno a lui si dimenticano i nomi dei grandi del passato (il nome sbagliato di Dostoevskij, il misconosciuto Kafka, appena riabilitato dalla primavera di Praga) e si ignorano quelli dei frutti esotici del presente (kiwi, pina colada?).
Dopo il crollo dell’enorme statua in Under electric clouds, la figura di Lenin continua a comparire spessissimo anche in Dovlatov, ma sempre più distante dal centro dell’azione, tagliata, fuori campo, sfuocata. I resti della rivoluzione faticano a rimanere persino nella stessa inquadratura dove il potere burocratico russo ignora, respinge, censura i giovani scrittori, suggerendo loro di non scrivere cose così negative e deprimenti, ma di trovare veri eroi di cui narrare le gesta, in un commento che sa quasi di metacinematografico (così come le numerose cineprese che compaiono durante il film).
6144 x 1024 – Margaret Honda (Forum Expanded)
All’Arsenal danno come al solito le robe più sperimentali, se poi sono gratis perché non andare?
In questo caso (ma l’ho letto solo dopo) si tratta di videoarte generata da un programma in diretta: 6144 variazioni di tono per 1024 variazioni di luminosità, di modo che ogni pixel abbia le sue caratteristiche uniche sullo schermo. Il colore poi evolve e passa senza soluzioni di continuità dall’arancione al giallo al verde al blu al violetto al rosso e riparte il loop, passando per tutte le sfumature possibili.
Il loop in sé dura qualche minuto (pochi), la proiezione all’Arsenal quattro ore.
La sensazione di presa per il culo un po’ c’è, mentre sorge spontanea la domanda: forse il vero esperimento è sociale, per vedere chi resiste alle quattro ore continuative. In ogni caso, ogni giorno c’è la replica (non proprio esatto, visto che l’opera in sé 2182 minuti, quindi sarebbe più corretto dire: il proseguimento).
Nel caso ci fossero microvariazioni fra i loop, chiedo scusa, non me ne sono accorto e al terzo/quarto me ne sono andato.