Il terzo giorno parte con l’Akademie der Künst, che casualmente è di fronte alla mia stazione dell’S-Bahn. E quindi esposizione (gratuita) di video-arte. Cose più o meno interessanti, ma di sicuro indescrivibili.
Scelgo poi il giorno più freddo per fare una bella passeggiata dall’Akademie a Potsdamer Platz, passando per il Tiergarten e tutti i principali luoghi turistici: Schloss Bellevue, Haus der Kulturen der Welt, Reichstagsgebäude, Brandeburger Tor, Holocaust-Mahnmal e infine Potsdamer. Non mi sono fermato da nessuna parte, era solo per elencare un po’ di cose fighe che ho visto passeggiando sotto zero.
In centro mangio una pizza da Va piano che, triste ma vero, è la miglior pizzeria di Münster. Di Berlino probabilmente no, ma almeno vado sul sicuro. Mi rifugio poi nell’Arkaden, per attendere di vedere uno dei pochi film per cui sono riuscito a prenotare. Nel centro commerciale c’è anche una delle biglietterie principali del festival e soprattutto si riversa buona parte del pubblico per scaldarsi un po’, così credo di essere l’unico non accreditato e vestito come un barbone (con tanto di panta sotto i jeans e bottiglia d’acqua che esce dalla giacca) qui dentro.
Quando esco noto una folla esagitata nella via di fronte. Ci sono le classiche Mercedes e le scorte dei vip, ma soprattutto una marea di persone con reflex e cellulari alzati. Io ho le mani impegnate con una fetta di torta gigantesca. Chiedo a una ragazza arrampicata su una transenna chi ci sia là davanti, ma anche lei non ne ha idea. Al che arriva un asiatico dai capelli improbabilmente ossigenati a metà che crede sia io quello informato. Insomma, nessuno sa niente.
Finisco di mangiare la mia torta prima di mettermi in fila al Berlinale Palast. Tiro fuori la mia reflex (cercando disperatamente di darmi un tono), ma la fila per entrare inizia a muoversi proprio mentre arrivano regista e cast vietnamiti (che comunque non saprei riconoscere). Vabbè, finalmente entro a vedere un film al mitico Berlinale Palast: Cha và con và (tradotto in inglese con Big Father, Small Father and Other Stories e in tedesco con Unsere sonnigen Tage, a questo punto sarei proprio curioso di sapere cosa significa il titolo originale). Insomma, non avevo particolari aspettative, ma questa proiezione mi è piaciuta molto, complice forse l’emozione fanciullesca (non lo nego) del luogo e dello schermo gigantesco. Ci metto un attimo a sentirmi di nuovo bambino quando compare l’orso dorato del logo alto cinque metri. Tra l’altro noto che il cast (regista, attori, produttori) sono seduti nella mia stessa fila, anche se nel blocco centrale giustamente.
Il film vive di atmosfere, frustrazione e fango. I pochi personaggi, gli amici, la povertà, la repressione sessuale, la vita sul fiume, sono ben rappresentati, ma non creano una vera e propria direzione della trama, quanto più un affresco, sporco, insofferente, senza possibilità. I sogni (di diventare fotografo del protagonista o anche solo di comprare un cellulare nuovo di uno degli amici) sono frustrati, l’emancipazione sessuale è impossibile, e l’unico escamotage per ottenere dei soldi è farsi sterilizzare. Bellissima la scena dei ragazzi nel fango, dove i corpi si mescolano e scambiano, confondendone la sessualità.
Dopo la visione, è stata piuttosto divertente la presentazione del regista vietnamita, evidentemente spaesato sul palco della grande sala. Fatica un po’ in inglese ma se la cava fino a quando vengono chiamati due attori sul palco, poi spiega che questo è il primo film vietnamita a partecipare alla Berlinale e che è contento che la sua lingua si sia sentita fino a lì. Infine rivela il proprio candore quando chiede al microfono con tutta l’innocenza possibile: “What should we do now?”
All’uscita dal Berlinale Palast mi aspetta una marea di pubblico e fotografi, e camere, presentatori, maschere, dolly, tant’è che penso seriamente di avere sbagliato uscita (sono sul tappeto rosso dopotutto). Però vengo superato da altri spettatori e capisco che effettivamente non sono tutti lì per la mia/nostra uscita trionfale, ma per il cast della successiva visione: Cinderella. Mi dispiace non essere stato pronto e non avere immortalato la scena, perché non credo che mi capiterà molto spesso.
Non aspetto di ammirare la sfilata delle dive sul red carpet (per loro in inglese), ma vado dritto allo Zoo Palast per vedere un altro film. Ho due possibilità, una dietro l’altra, ma punto tutto su El Incendio, un film argentino della selezione Panorama. Trovo anche il biglietto alla biglietteria, ma un gentile tedesco ha un biglietto in più e si offre di farmi entrare. Ok, ottimo, peccato che questo sia super panigato e abbia scaricato sul cellulare il biglietto print@home (che come dice il nome non è per il cellulare, ma per essere stampato (a casa)) e insomma, mille casini, ma alla fine entriamo. Mi offro giustamente di pagargli qualcosa e lui, magnanimo: “facciamo 10 euro”, ovvero il costo completo del biglietto. Vabbè, grazie. Per fortuna una volta dentro incontro il tedesco meno tedesco del mondo, che infatti mi indica un posto a sedere accanto come fossimo amici da sempre, inoltre mi parla in spagnolo fluente. Visto l’aspetto più peruviano che altro e il film argentino non mi stupisco di molto. Invece viene fuori che è tedesco 100% e che mi ha parlato in spagnolo perché pensava che lo spagnolo fossi io. A meno che. Comunque facciamo delle chiacchiere in castigliano (che parla meglio di me) prima del film. Veniamo finalmente alla proiezione: ventiquattr’ore tesissime nella vita di una coppia in crisi, parola abusata in questo momento storico, ma che riflette più o meno sempre un decadimento umano oltre che sociale. La giornata inizia con la tensione per il prelievo di tutto il contante per l’acquisto di una nuova casa (in Argentina non vanno di moda le carte di credito, ma il regista ha assicurato che per quanto folle si fa proprio così) e prosegue come un thriller in crescendo. Non c’è spazio per una risoluzione vera e propria, e non dirò come si conclude perché in questo caso davvero ammorberei/ammoscerei il film. Posso però dire di aver apprezzato come il film si apra e si chiuda sullo sguardo di lei, tesa, inquieta, spaventata (vedi anche la locandina), scene dall’atmosfera thriller senza che si parli di un vero thriller, che mettono subito in chiaro in quale realtà ci troviamo.
[…] seconde visioni provenienti da Berlino, fra cui anche un paio di film già visti proprio lì (El incendio e Der […]