Giunto al quarto giorno, non ho più molta voglia di girare al freddo per Berlino, inoltre sono finalmente accompagnato. I film per oggi sono prenotati, la cena stasera finalmente si farà (e da Kokolo!). Non ci resta che andare in Kudamm per provare l’ennesimo cinema, oltre che l’ennesimo film.
I cinque giorni di quest’anno infatti mi sono serviti anche per visitare i diversi cinema del festival, che potrà sembrare stupido, ma sono spesso luoghi affascinanti, dentro come fuori. Il Delphi Filmpalast è piuttosto piccolo, e quando arriviamo sono occupati quasi tutti i posti. Riusciamo comunque a non metterci nelle ultimissime file, ma non siamo neanche troppo vicini.
Il film in questione è Der Geldkomplex (El complejo de dinero) (sezione Forum) e pensavo avesse meno pubblico. Ispirato (non so quanto) a un omonimo libro anarchico di Franziska Zu Reventlow, ma girato in maniera molto naif in Andalusia. Sembra una commedia dell’assurdo, con scene che non saprei ben collocare (la gallina!), momenti musical con tanto di ruspe (solo uno in realtà), e tante scene orchestrate quante improvvisate. Si sprecano le incredibili risate dei tedeschi nei momenti più disparati del film, in realtà intriso di un divertimento amaro, disilluso, di chi vuole provare a offrire un’alternativa al denaro, pur sapendo bene di non poterlo fare. Gli autori di questa ricerca sono stati il regista e gli attori (molti non professionisti) in primis, protagonisti poi di un Q&A esilarante, complice la scarsa comprensione col pubblico per evidenti distanze culturali e linguistiche (si sa, gli spagnoli che parlano bene l’inglese sono più unici che rari). La risposta migliore rimane quella del regista alla domanda su quale fosse l’intenzione del film: “L’intenzione era di fare un film! Non c’è un messaggio nascosto”, poi aggiungerà “un film sul denaro senza mostrarlo”. Queste pellicole super-indipendenti (ma non scadenti) sono anche una risposta alla crisi spagnola (sud-europea?), il regista conferma e ribadisce anche questo più volte. A me viene in mente Albert Serra, regista catalano, anche lui amante di film lenti, semplici, con script volatili e attori non professionisti, e spesso (molto) vagamente ispirati a libri del passato. A dire il vero Historia de la meva mort era qualcosa di molto più ricercato, ma mi sembra di riconoscere una specie di scuola spagnola dettata dalla necessità, ma di cui ho visto più di un filmmaker farne virtù.
Non c’è tempo di fare granché se non andare a vedere il film successivo al Kino Arsenal, che ora si trova sotto il Cinemaxx praticamente. Un altro film Forum, francese questa volta, anche se dal titolo non si direbbe. È difficile descrivere Viaggio nella dopo-storia di Vincent Dieutre (presente alla proiezione). In questo film super teorico si confondono più piani (e di conseguenza riflessioni): quello che si propone come un omaggio/rifacimento del Viaggio in Italia di Rossellini (mantenendone le proporzioni (4:3) e il b/n (anche se evidentemente artificiale, come ha poi rimarcato lo stesso regista)), si sovrappone a una specie di documentario sullo stesso regista che decide di mettere in scena questo film, e quindi ne parla con il legale di fiducia (inserendo meta-discorsi su cosa sia un omaggio oggi e sulla proprietà intellettuale nell’era di internet), il tutto fuso anche con brevi spezzoni del film originale o di materiale altro trovato su internet. Il suono contribuisce a fondere i più piani “come succede ora su internet” (dal Q&A finale) dove con un clic puoi vederti l’intero film di Rossellini o un gatto che dice Olon Johnson. Ancora più interessante, il regista agisce in post-produzione per aggiungere una censura fittizia (pixelata), estendendola dal piano del documentario agli altri, confondendoli, rimescolandoli nell’unicum visivo proposto sotto il nome di Viaggio nella dopo-storia. Il Q&A col regista francese è ancora una volta molto interessante, ma è difficile distinguere tutti i riferimenti e i contributi a una prima visione, per quanto le linee principali siano evidenti e gli spunti di riflessione innumerevoli, anche sul significato di arte e informazione al giorno d’oggi. Dieutre parla anche del concetto di dopo-storia applicato alle rovine non solo dell’arte e della città di Napoli, ma anche dell’immagine stessa, del concetto di video. Ah, da notare come l’omaggio/rifacimento sia messo in scena dal regista stesso e dal suo compagno, trasformando l’allora coppia hollywoodiana (George Sanders e Ingrid Bergman) in un’anziana coppia gay.
Dopo l’ultima visione (e prima della cena da Kokolo) c’è tempo per andare fuori dal Berlinale Palast (è in fondo alla via) a vedere in quasi-diretta le premiazioni sul grande schermo. E aspettare le star all’uscita. La folla non é enorme, le Mercedes sono pronte direttamente sul tappeto rosso, i registi non troppo propensi al divismo. Così Pablo Larraín, il primo a uscire, si infila di fretta nella macchina, pur sorridente con il suo orso d’argento (Grand Jury Prize) in mano, o Radu Jude quasi manda a fanculo i giornalisti e poi posa svogliato col suo orso (Best Director). Non si trattiene troppo neanche la nipotina di Jafar Panahi con l’orso d’oro e il resto della famiglia.
Sugli orsi poi non mi pronuncio dato che, come al solito, non ho visto quasi nessuno dei film premiati.
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