Appunti newyorkesi #5

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5. Dopo aver parlato dei grassi altrui, parlo dei miei. Dove e come abbiamo mangiato?

5a. Da Anchor, ristorantino italiano sotto casa dal quale abbiamo mangiato antipasti di pesce e soprattutto dolci ottimi. C’è sempre l’imbarazzo di leggere qualcosa in italiano e non farsi capire, ma tutti gentili e disponibili.

5b. The Edge non è il chitarrista degli U2 ma un ristorantino jamaicano sempre ad Harlem, anche questo ottimo (buona anche la sangria, anche se vedi dopo il discorso sui prezzi), proviamo anche piatti un po’ diversi dal solito (scopro anche cos’è un festival) ma tutti ottimi. Come molti altri, chiude la cucina molto presto (almeno per i nostri standard e aspettative, in una città come New York): le 10.

5c. Al Washington Square Market (mercatino di cibo all’aperto) proviamo i famosi lobster roll: buoni, anche se prezzo standard ovunque 18$, non proprio pochino come cibo da strada, ma ormai ci siamo rassegnati ai costi di New York.

5d. Il Chelsea Market invece è una specie di centro commerciale più che un mercato (niente a che vedere con le cose a cui siamo abituati in sud Europa), pieno di negozi di ogni tipo e soprattutto ristoranti. Uno di quelli con la fila fissa (e che non abbiamo provato, ovviamente) è il ristorante ufficiale di Giovanni Rana. Ebbene sì. Andiamo invece alla pescheria jappa, sbagliando clamorosamente bancone e sedendoci per il sushi più costoso della storia, rimediando poi accanto con un crab club accanto, un toast con polpa di granchio sostanzioso e niente male.

5e. L’ultima sera andiamo al Land (altro ristorante consigliato dal nostro ospite), thai dell’Upper West Side a quanto pare piuttosto famoso visto che ci è toccato fare la fila. E così scorpiamo che anche la cucina thai è prevalentemente piccante, e non poco. L’antipasto di tempura di granchi si mangia, ma il mio wok è abbastanza al limite (e per fortuna che avevo chiesto una piccantezza “media” anziché “estrema”), e a me piace il cibo piccante. Comunque valido, se si sta attenti a cosa si ordina (evitare accuratamente i tre asterischi).

5f. La pizza: ne proviamo praticamente solo una, da Village Pizza, a Chelsea. Pizzeria classica newyorkese da passeggio, con le sue ruote giganti e spicchi proporzionati. Già, perché la pizza a New York è enorme e nessuno si sogna di mangiarsi una pizza da solo, anche da asporto si va a slices. Noi (dopo un test preventivo: approvata) ne prendiamo cinque in due, nel cartone, e andiamo a mangiarcela sull’Highline al tramonto. Non so se è stata una cosa molto newyorkese, ma ci illudiamo di sì. E in ogni caso la pizza è buona (sarà che siamo abituati molto male in Germania).

5g. Le catene: Chipotle non ha molte bisogno presentazioni, catena messicana onnipresente a New York (anche se mai come McDonald’s, Starbucks o altre, davvero onnipresenti nel vero senso della parola), provata e approvata; Shake Shack invece conta solo tre punti vendita a New York, quindi più che una catena è un franchise, che vanta il miglior hamburger della città: provato e approvato anche questo, anche se gli entusiasmi ci paiono francamente eccessivi.

5h. Le colazioni: a parte il forno domenicano dove ci riforniamo di paste, un bel localino in zona è Sugar Hill Café, un giorno però proviamo anche a prendere i famosi pancake con lo sciroppo d’acero (le fritelle dei cartoni di quand’ero piccolo) a Downtown. Non l’avessimo mai fatto: 3 pancake a testa, ma di dimensioni spropositate e contenenti le calorie di quattro o cinque pasti. E prezzo relativo.

Ultima considerazione: i costi. Mangiare a New York costa, salvo andare in uno dei mille camioncini di tacos piazzati in ogni angolo della città.
Ma soprattutto costa bere. Per fortuna l’acqua di rubinetto è fornita gratis e spontaneamente.
Ma ancora di più costa comprare roba sana/decente al supermercato, ammesso che si trovi (vedi 2c.).