2. Il nostro ospite di New York è Joe: un artista e professore universitario di visual art, insomma un figo. Non bastasse, gentilissimo e disponibilissimo. Di più: dai buoni gusti in tema culinario. Infine: incarna abbastanza lo stereotipo estetico di professore/artista newyorkese. Ancora: il soggiorno del nostro appartamento è adibito a moderno museo delle aquile o anche archivio e occasionalmente esposizione su Marcel Broodthaers (scrittore, filmmaker e artista concettuale belga del secolo scorso).
2b. Qualche dettaglio in più sulla zona: Harlem.
Sembra di essere in un video di mtv di qualche rapper fine anni ’90 o inizio ’00, molta gente nelle strade, molti seduti nelle macchine (enormi per gli standard europei, ma quello non solo nel quartiere) con lo stereo a palla, tutti che si salutano calorosamente e parlano per frasi fatte e vocali trascinate, tutti gentili e disponibili anche con i turisti spaesati (vedi noi) quando capita, pochissimi caucasici. Nei negozi la prima lingua è lo spagnolo. I ristoranti chiudono (la cucina almeno) sulle 10, ma i barbieri sono aperti (e pieni) fino a notte fonda. Non ho ancora capito perché.
2c. Qualche dettaglio in più sulla spesa:
vicino c’è tutto, per colazione si va al forno domenicano (dove inglese non ci si prova neanche a parlarlo), per i panini o la frutta si va al supermercato dove i biscotti hanno sulle confezioni la peccetta “With artificial flavors!” e così scopro che negli USA si vantano degli addittivi chimici come in Germania del burro. Paese che vai, obesi che trovi. (non ne ho mai visti così tanti come a New York)