Recap.
Ann & Jeff VanderMeer – The New Weird
Raccolta antologica da cui forse mi aspettavo qualcosa di più. Qualche nome mi è piaciuto (Kathe Koja, Brian Evenson, K. J. Bishop, Steph Swainston), qualcuno lo conoscevo già (Ligotti, Miéville), ma soprattutto, leggendo sia l’introduzione che i racconti che qualche articoletto allegato, mi sono fatto l’idea che il new weird sia veramente una categoria inventata per la stampa/critica (ok, come tutte). Mi sono fatto l’idea che in America manchi la distinzione da noi nota fra fantasy e fantastico e quindi vai di weird e new weird, che poi alla fine boh, ci puoi mettere tutta la letteratura speculativa o quasi. Ad esempio, mi sembra che potrebbero stare benissimo nel calderone quasi tutti i miei scrittori preferiti: Beckett, Kafka, Ionesco, Bulgakov, Buzzati, Sclavi… Auster no perché è slipstream (ahah).
Vitaliano Trevisan – Il ponte. un crollo
Il romanzo della crisi prima della crisi (pubblicato nel 2007). Detto così suona male, invece è probabilmente il miglior romanzo di Trevisan (fra i tre che ho letto) oltre che abbastanza profetico nell’usare già un linguaggio post-crisi. Prima o poi recupererò anche Works, credo.
Walter Siti – Pagare o non pagare?
Niente di nuovo: appunti di un settantenne che constata il fallimento del suo mondo e delle regole con le quali è cresciuto. Un settantenne più lucido della maggior parte dei commentatori del contemporaneo, va detto, ma dopo gli ultimi saggi letti non scopro certo con Siti le incongruenze e le criticità del neoliberismo. Comunque promosso, anche per la capacità di analisi che finalmente coinvolge una classe di persone (lavoratori) fuori dalla bolla degli intellettuali, punto di vista che mi sembra mancare terribilmente.
Ho avuto questa sensazione anche durante la presentazione con Francesco Pacifico e Giorgio Vasta (dove come al solito l’intervistato fa più bella figura degli intervistatori (non fatemi parlare della presentazione di Volodine)): Siti sembrava paradossalmente l’unico a riuscire a parlare del sistema senza cercare di portare acqua al proprio mulino (sarà l’età?).
Mi sembra che gli scrittori e gli intellettuali e i saggisti da “rivista culturale” non siano nella posizione (mentale) di commentare al meglio la nostra società, perché arroccati/rinchiusi in una posizione/filter bubble condivisa solo da una piccolissima parte della popolazione. Vasta (1970) che si lamenta/constata di non aver mai preso uno stipendio o Raffaele Alberto Ventura che parla di una classe disagiata etc etc mi sembra che non si rendano conto di come la maggior parte dei lavoratori ancora oggi siano impiegati e operai, non freelance e loro simili.
Le loro parole, ammantate di un certo qual vittimismo, mi risultano così lontane dalla realtà delle cose che mi chiedo dove sia questa realtà delle cose, quanto disti da me da loro e da chiunque altro.