Appunti sparsi su un’isola che dove la geografia ha abdicato alla politica prima e all’economia poi.
* I balconi coloniali che, assieme ai rilievi rocciosi dell’entroterra, mi ricordano i western (all’italiana) che vedevo da piccolo. Magari nel “vero” far west non esistono neanche balconi simili.
* La selva di navi petrolifere in porto e sparse al largo, disposte come ad assediare la città: grattacieli in mezzo al mare di notte, presenza inquietante di giorno.
* La Caldera de Bandama, la casa in fondo al cratere, il vento, il difficile rapporto dell’essere umano con formazioni dalle dimensioni così superiori alle proprie; il diametro di 1km annulla ogni profondità.
* Dopo gli Oakley di Malaga, ancora una volta: occhiali da sole trovati direttamente sul posto (Ray-Ban semisepolti al termine delle dune di Maspalomas) e, come a Malaga, lasciati sul posto, a fine vacanza. Grazie turisti che mi rendete il viaggio più facile e riparato dai raggi ultravioletti.
* Le dune di Maspalomas, appunto: la risposta agli articoli sulla morte/inutilità del turismo, in vece di quello da tastiera. Ci si possono fare delle foto fighe per il profilo facebook, si possono vedere sull’instagram di qualche travel influencer, ma non si può (ancora) esperire l’avventurarsi in mezzo a questo mini deserto, rotolarsi e saltare giù dai crinali, arrampicarsi su per le salite, camminare a mezza altezza, ammirare il vento creare vortici concentrici di sabbia ai propri piedi, subire e sfruttare quello stesso vento, riempirsi i piedi le scarpe i vestiti le orecchie il naso la bocca di quella stessa sabbia. Ovviamente la cosa non ha una finalità utilitaristica: le dune non sono la via più breve per il mare né la più facile, ci si va per il gusto di andarci e basta, per chi non ha a disposizione un deserto dietro l’angolo. Immagino che il fascino sia relativo, ma per me cittadino europeo borghese medio un deserto è una meraviglia. Inoltre, il fatto che sia anche (leggermente) faticoso esperire le dune del deserto, rende la cosa non così allettante per il suddetto turismo di massa.
* Il problema di Gran Canaria col turismo semmai è un altro, non meno grave: al sud, dove il clima è sempre migliore (stare in costume a gennaio non è così normale, sempre per il c.e.b.m. di cui sopra), la natura incontaminata ha abdicato a aberrazioni psicoecologiche degne di Ballard, e forse un po’ oltre: ecomostri simili a celle retrofuturistiche tutte uguali incastonate nei costoni di roccia, spiagge artificiali ricreate nelle piccole baie apposta per gli stessi turisti che fanno la fila nei finti ristoranti dal menù identico, indipendentemente dalla presunta nazionalità/cucina esposta: piatto unico toast cotto sottiletta e ananas.
* Altro problema: la stragrande maggioranza degli occupanti dei suddetti ecomostri è crucca. Per crucco si intende lo stereotipo di turista becero germanico: enorme (in tutti i sensi, spesso principalmente in larghezza), taglio di capelli sbagliato, completamente bruciato da un sole che non conosce, e soprattutto che non vuole trovare niente di diverso da casa se non il clima. Da qui le indicazioni stradali in tedesco, i menù osceni/inesistenti e la fastidiosa presenza di una mandria di persone che esige esclusivamente il peggio di quello che la cultura spagnola può dare loro.
* Indeciso fra il tedesco che si fa rinchiudere nella propria cella di lusso pagata profumatamente e lo spagnolo che si inchina e si adegua alle richieste dell’invasore danaroso, sono convinto che la vittima principale in questo scambio sia anche il principale motivo di pregio dell’isola stessa: l’ecosistema lunare dalle piante esotiche e dai fondali cristallini, il paesaggio rosso di rocce, deserti, monti e crateri, un luogo diverso, difficile, affascinante, la cui bellezza risiede nella propria stessa alterità.