11. Un ultimo appunto che mi ero scritto la prima mattina a New York.
Sono le sette e sono sveglio da almeno un’ora. Leggo Auster seduto in una poltrona di design di pelle marrone. Sul tavolo davanti a me pubblicazioni di e su Marcel Broodthaers disposte in maniera impeccabile, alle pareti toppe di aquile americane, fuori dalle finestre facciate di edifici tipicamente newyorkesi, visti mille volte su schermi di varie dimensioni. Piove. Si sente l’aspiratore della cucina andare e uno strano rumore irregolare, forse la pioggia sul lucernario. Fuori gli uccellini cantano da quando mi sono alzato. In cucina un frigo grande a sufficienza per potermi contenere facile mi propone solo un paio di birre. Vorrei mangiare qualcosa ma non ho nulla a disposizione se non immagini e parole. Sui mobili della cucina c’è una pentola enorme, nera, su cui è raffigurata un’aragosta che mi fa pensare alla copertina italiana del saggio di DFW. Di là lei dorme ancora con la sua mascherina scura sul volto, avvolta in un groviglio di pesanti coperte beige. Torno al tavolo e apro una copia di Atlas, l’ultima pubblicazione di MB. È un cofanetto nero a base quadrata, chiusura magnetica. Al suo interno un minuscolo libricino di 4x3cm contiene miniature di molti (non tutti) paesi del mondo, in ordine alfabetico. Accanto ad Atlas trovo una tesi su MB, forse scritta dal nostro ospite. E poi una raccolta di scritti, una copia dello Spiegel del 22.03.1971 e un’altra grossa pubblicazione di pregio del MoMA, sempre su MB. Fuori la pioggia è sempre più intensa e i rumori metallici si infittiscono. Cammino sul pavimento i legno attento a non farlo scricchiolare più del dovuto. Sento i primi rumori provenire dal piano di sotto, dove immagino il padrone di casa muoversi goffamente una domenica mattina presto alla ricerca del suo lungo caffè americano. Io torno alla poltrona di design di pelle marrone a perdermi nella New York immaginata prima che in quella reale.