Riunioni di lavoro

Io non sapevo assolutamente cosa dire, dal momento che in tutta la settimana non avevo realizzato assolutamente nulla. Pensai di limitarmi a parafrasare le mie osservazioni della riunione precedente, prendendo tempo e improvvisando, ma capii subito che non avevo molte speranze di cavarmela così. Era un espediente praticato ormai centinaia di volte e ormai sapevano fiutarne tutti l’odore e riconoscerne le tracce.


[…]

it_americana_pb

Mi sentivo esausto e nauseato. Volevo tornare nel letto caldo di Meredith, perdermi nell’incavo fra i suoi seni, nuotare ancora in stanze argentee come pesci, insondabili, sprofondato nel sonno come in un naufragio. Volevo trovarmi con Sullivan in qualche distesa selvaggia e lunare dell’Ovest ad ascoltare Mingus all’autoradio e Ornette Coleman con il suo sax impressionista, mentre Sullivan incrociava le braccia sul petto a mo’ di sarcofago egizio con i lineamenti immobili come bendati; volevo partire in quarta verso le pianure del Nord e arrampicarmi ascoltando Bartók sulle Montagne Rocciose, fra le canzoni dei cowboy e il suono strascicato erboso e nasale dei banjo, e poi l’Oregon, il mare in lontananza viscido di foche. Questo volevo. E invece me ne rimasi seduto nell’ufficio gigantesco di Weede Denney, sulla sedia blu accanto alla finestra, a sentirmi esausto e nauseato.

[Don DeLillo, Americana, 1971,
trad. Marco Pensante, Giulio Einaudi 2008, pp.75,79]

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

*

*